“La cronaca non è Renzi”. Intervista a Gianni Cuperlo

Strane abitudini di voi del confine orientale… Passiamo alla prima verità da dire. Perché Renzi è Renzi, lo abbiamo capito, il problema è la risposta di Conte, del Governo, del Pd.

La prima verità è riconoscere con onestà che tutte le misure-simbolo avanzate negli ultimi anni per fronteggiare la crisi peggiore della nostra vita si sono rivelate incapaci di correggere rotta al declino. Jobs Act, 80 euro, Quota 100, reddito di cittadinanza: i provvedimenti bandiera delle principali forze politiche non hanno prodotto i risultati annunciati per la crescita, l’occupazione, i consumi. Nella migliore delle ipotesi hanno rappresentato un effetto tampone garantendo il sollievo parziale di alcune categorie senza intaccare le cause profonde del declino italiano.

Avevo in mente un’altra domanda, ma gliela faccio dopo. Togliere gli 80 euro e il reddito significa mettere in conto una perdita di consenso. Ricorda che effetto ebbero?

Ma io non lo dimentico affatto, anzi. So benissimo che misure di quel genere hanno gonfiato per una stagione breve le vele del consenso nostro e di Grillo, e potrei aggiungere l’effetto “quota 100” sull’exploit di Salvini. Dico un’altra cosa, la dinamica del voto non è avanzata assieme a uno sviluppo credibile del sistema-paese che è rimasto ancorato alle sue patologie, alcune antiche e incancrenite, altre indotte dalla crisi ultima e dal suo impatto sulla classe media. Il risultato è l’immagine che abbiamo sotto gli occhi e, insisto, è da questa verità che bisogna ripartire.

Però scusi, ma lei in fondo sta dando ragione a Renzi che ieri nello studio di Vespa ha ripetuto “via quota 100 e reddito di cittadinanza”?

Senta, me la permette una citazione?

Se è di nuovo sui cinema all’aperto no, la prego.

No, è seria. Sta nel discorso della futura premier Margaret Thatcher alla conferenza del Partito Conservatore, Blackpool, 10 ottobre 1975.

Sentiamo.

La Thatcher fa un elenco delle cose mirabili partorite nella storia dal popolo britannico, il numero più alto di premi Nobel, l’avere inventato il frigorifero e il computer, motore elettrico, stetoscopio, turbina a vapore, carrarmato, penicillina, il radar, le fibre di carbonio. E poi la chiusa, meravigliosa, dice testuale “Oh dimenticavo: anche la metà migliore del Concorde”

Che come noto era una produzione franco-britannica. Mi sta dicendo che Renzi è la reincarnazione della Thatcher?

No, dico che gli 80 euro sono per Renzi “la metà migliore del Concorde”, cioè mentre si scaglia contro le ricette degli altri non è in grado di vedere i limiti delle sue, compreso quel Jobs Act che pochi giorni fa il Comitato Europeo dei Diritti Sociali di Strasburgo ha bocciato sul punto fondamentale delle garanzie di reintegro per i lavoratori ingiustamente licenziati.

Non ho capito dove vuole andare a parare questo ragionamento.

Va a parare nel bisogno di dare al Governo una missione credibile e per farlo devi dire al paese quale visione del suo avvenire metti al centro della scena. Per me significa avere coraggio e ambizione di rivedere l’impostazione della politica economica perseguita fin qui, da noi come dagli altri. E farlo incalzando l’Europa a cambiare con più radicalità nel senso di liberare risorse e investimenti, dal green in giù.

Ma non si rende conto di quanto questo suo discorso appaia velleitario? Lei vorrebbe convincere i 5Stelle a rinunciare al reddito di cittadinanza nel momento in cui anche il Pd dice che è giusto. Aggiungo che Gualtieri ha ripetuto ancora ieri che quota 100 non si cambia, per tacere del fatto che la vostra manovra ha esaltato il taglio del cuneo fiscale anche come ampliamento della platea beneficiaria degli 80 euro. Scusi se mi permetto, ma l’impressione è che sia lei a andare contromano.

No, non credo di fare un discorso velleitario per la semplice ragione che la realtà spinge in quella direzione e perché nel Governo, penso al Piano per il Sud, c’è chi ha coscienza che serve una svolta nell’impianto in grado di misurare le compatibilità, anche finanziarie, ma senza restarne schiavi. Insomma, la verità è che il paese così non regge. Non regge il welfare se non apportiamo una riforma radicale dei canali con cui lo finanziamo. Non regge la produttività che è ferma da vent’anni e chiede che si rompano le incrostazioni attorno al nodo della formazione e della ricerca. Non regge il risparmio privato che in anni di vacche magre ha supplito alla carenza di lavoro e reddito, ma non è un giacimento infinito. Penso che la famosa verifica, la fase 2 del Conte 2, con tutto questo deve misurarsi.

Ecco, la verifica. Torno alla domanda che avevo in testa. Lei invoca una “svolta” se capisco, ma siamo sempre al punto di partenza. E al Governo fermo. Cosa dovrebbe fare Conte? Incontrare Renzi, andare in Parlamento e chiedere la fiducia su un programma dettagliato?

Questo lo deciderà il premier e dovrà tener conto dell’autorevolezza e del ruolo del Pd. Penso che sarebbe saggio se il Governo si presentasse in Parlamento con un programma forte, capace di una scossa vera, e quella divenisse l’occasione per una chiarezza di fondo dove ciascuno si assuma le sue responsabilità.

Lei converge sul fatto che così non si va avanti senza correre il rischio di cadere nel ridicolo?

Lasciamo stare quello che riempie di chiacchiere i talk del giorno. Ho appena detto che a me interessa la missione che il Governo è in grado di comunicare al paese perché alla fine saremo giudicati su questo.

Ora però, la questione di fondo è quella che lei ha analizzato anche nel suo ultimo libro, Anima. Diciamoci le cose come stanno: questo Governo, nato per paura del voto e con la buona dose di trasformismo di un premier che passa da Salvini al Pd, senza autocritiche e discontinuità, aveva senso se faceva le cose. E, se diventava l’incubatore di una nuova alleanza politica. Mi pare che l’obiettivo sia fallito.

Su una cosa dissento, l’Italia ha ritrovato il suo peso in Europa. Questa non è una banalità e va rivendicata come uno dei meriti fondamentali di questi mesi. Poi certo il Governo è nato nel modo rocambolesco che sappiamo e ha un senso se allarga la fiducia attorno a sé svuotando il consenso della destra.

Che il Governo vada avanti conviene anche a parecchie centinaia di parlamentari che conoscono il loro destino: se si torna a votare devono cercarsi un lavoro. Dal paleolitico, fatti i debiti distinguo sul modello istituzionale, la regola del primum vivere conta più del philosophari.

Lo so anche se mi lasci dire che i parlamentari non sono tutti uguali. Tanto più se passa il messaggio che la paura del voto spinge a reclutare un certo numero di naufraghi temo che lo scarto con un pezzo della nostra gente, delle piazze che si sono riempite in questi mesi, sia destinato a crescere.

Ecco, i responsabili? Lei proprio sull’HuffPost ha detto “no al metodo Scilipoti”. Bettini sul Corriere oggi dice: “Queste sono stupidaggini, se si amplia l’appoggio parlamentare all’esecutivo non è un dispetto a qualcuno, ma una rassicurazione per gli elettori che ci guardano con simpatia”. Si sente stupido?

A volte ma non in questo caso. Con Bettini è giusto discutere. Io dico che non mi convince l’idea di partire da un cambio di maggioranza perché verrebbe letto non come il rilancio di un Governo in sintonia col paese, ma come l’arroccarsi a difesa di un esperimento fallito.

Sì, però non se la cava così. Vorrei un giudizio su questa discussione che rivela due cose: il fatto che il Pd sia corroso dal trasformismo, al punto da mettere in conto di votare il lodo Conte con quelli che hanno votato “Ruby nipote di Mubarak”; la seconda è la doppia morale per cui, se ci fosse stato Berlusconi, chi cambia casacca è un venduto, se c’è Conte è un “parlamentare democratico non sovranista”.

Non nego che qualche elemento di trasformismo vi sia, ma eviterei ogni caricatura perché non serve mescolare storie e dinamiche diverse nel medesimo frullatore. Conta l’approdo del progetto perché insisto, questa maggioranza è nata in tempi e modalità che non hanno eguali nella vicenda del paese, due forze che si erano combattute a muso duro fino al giorno prima hanno scelto di dar vita a un governo politico. Era una scelta non scontata ed è stata fatta per le ragioni note, fermare una destra pericolosa e rimettere in piedi un paese isolato in Europa e con un’economia in ginocchio. Penso fosse giusto farlo ma proprio la difficoltà dell’impresa ci chiede di farla vivere in una cornice di trasparenza e senza ambiguità.

Secondo lei, per parlare di corruzione occorre la dazione di denaro. O un parlamentare che cambia casacca solo per tenere uno stipendio rappresenta un esempio di corruzione morale?

Non scherziamo con materie così serie. L’articolo 67 della Costituzione recita “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Quello che si pone è un problema diverso, di appartenenza, di cultura politica e certo, anche di valori.

Insomma, Cuperlo, facciamo il titolo di questa conversazione. Va bene “O svolta o meglio il voto”?

Tutto sommato preferisco la formula “Governo di svolta sì, logoramento no”.

Torniamo alla svolta.

Si tratta di aggredire il tema di fondo, quello che solo può sbloccare una crescita stabile e rimettere economia e società su binari giusti

E quale sarebbe?

Il rapporto che costruisci con la società viva e che reagisce, i movimenti, la rete del civismo e delle associazioni, la cultura e il lavoro, i sindaci. Le leggo una frase di Gianni Toniolo perché a modo suo è illuminante “Il declino di un paese non può essere combattuto da un élite politica e tantomeno intellettuale: la reazione deve essere corale perché comporta il rinnovamento di modi di essere individuale e collettivi. Quello che le élite possono fare è spiegare i pericoli, indicare soluzioni e mobilitare attorno a quelle. Ecco il compito nobile e insostituibile della politica”.

Tradotto?

Tradotto vuol dire che le grandi riforme hanno sempre avuto questa impronta, dietro c’era una società organizzata, movimenti, sindacati, che spingevano per tagliare quei traguardi sociali e di nuovi diritti. Per me lo stesso Congresso straordinario del Pd ha senso se fa questo, non può risolversi in un accordo di vertice tra capi corrente, ma deve dar voce a un vero campo aperto, partecipato. A Bologna nei tre giorni di novembre su “Tutta un’altra storia” lo abbiamo fatto e il riscontro si è avuto. Ha ragione Piero Ignazi a chiederlo, ma il Pd cosa vuole essere? Il partito della semina di Bologna o un ceto che si autotutela?

Bene, ma poi in quel congresso una bussola deve emergere. A proposito, ma che congresso è se non è contendibile la leadership?

Quella bussola esiste e le piazze di questi mesi hanno contribuito a indirizzarla, dai decreti Salvini alle priorità sul lavoro a una nuova economia che parta dall’ambiente e dai diritti umani. Insisto, le risorse impiegate su 80 euro, quota 100 e reddito di cittadinanza su base pluriennale sommano per oltre 30 miliardi. Studi attenti spiegano che quelle stesse risorse, o una cifra equivalente, investite in formazione, sanità, trasporti e infrastrutture avrebbero un moltiplicatore assai più significativo tanto sul versante occupazionale che dei redditi e dei consumi. Sono perché su questo si rifletta con l’umiltà necessaria.

Sì, ma dove li trovate 30 miliardi se non volete mettere in discussione nulla di quello che si è fatto prima?

Le rispondo che il Pd per primo dovrebbe sollevare il tema di come ripensare e riorganizzare le priorità a fronte di risorse limitate e di una stagnazione che ci vede nel 2020 a una stima del Pil dello 0,2%, cioè quasi nulla. E allora penso sia sacrosanto affrontare la riforma fiscale senza tabù sulla rimodulazione dell’Iva e con una riforma dell’Irpef che adotti una progressività lineare con una aliquota crescente sul modello tedesco, e assieme uno disboscamento della giungla di oltre 700 tra detrazioni e deduzioni. Possiamo intervenire sull’imposta di successione tutelando i patrimoni frutto del risparmio di una vita ma alzando l’aliquota marginale per quelli superiori. E infine superare largamente le forme del sussidio pubblico alle imprese, distinguendo tra chi investe e chi fruisce di vecchi privilegi. Possiamo ragionare di tutto questo o dobbiamo restare inchiodati ciascuno alla sua bandiera?

In confronto a lei don Chisciotte nella Mancia pareva un pragmatico imprenditore della Brianza. Io, più banalmente, vorrei concludere con un’ennesima contraddizione. Alle Regionali quella che lei chiama una maggioranza si presenta frantumata, perché Renzi corre da solo, ma anche nei 5 stelle sta prevalendo il rigurgito identitario rispetto alla volontà di costruire un’alleanza.

Guardi che alcuni tra gli imprenditori della Brianza sono guidati dall’immaginazione e sanno osare, quanto alle Regionali se voti col turno unico devi allargare il perimetro dell’alleanza e chi si sottrae lavora per la vittoria degli altri. Quello che non si può accettare è qualcuno che sta con te solo se sa che vince e si fa i fatti suoi quando la partita è a rischio. Perché questa non si chiama “alleanza a geometria variabile” ma “politica a moralità intermittente” come le luminarie natalizie, ma senza la festa.

L’ultima domanda. Che effetto le fa il veto renziano alla sua candidatura nel collegio suppletivo di Roma?

Se devo essere sincero non mi ha sconcertato il veto di Italia Viva. Casomai una domanda dovrebbero porsela quelli che allora nel Pd hanno condiviso e applaudito tutto.

L’HUFFPOST

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