La patente e la carta d’identità arrivano sullo smartphone: l’addio definitivo al portafoglio

L’addio al portafoglio: ecco come

Rendere o meno disponibile il servizio chiamato Identity Credential sui propri prodotti sarà una scelta dei singoli produttori di telefoni, con l’idea però che una caratteristica di questo genere rappresenta un vantaggio competitivo enorme rispetto alla concorrenza che non l’avrà a disposizione. Come è facile capire dal nostro quotidiano fatto di tante tessere di plastica – o addirittura di documenti cartacei, ancora grandemente diffusi in Italia – si tratta di una killer application. Di un servizio talmente utile da poter essere dirimente all’atto di scegliere un nuovo telefono. Al di là della scelta dei singoli produttori di hardware, il passaggio dal possibile al concreto è poi una questione legata alle scelte dei singoli Stati. «Insieme a Google abbiamo sviluppato la base dei sistemi di sicurezza, software e hardware, che permette di portare tutti i nostri documenti sul nostro telefono in modo inattaccabile dall’esterno, e perché possano essere riconosciuti come validi», ha spiegato al Corriere Jesse Seed, senior director di Qualcomm a capo della sicurezza. «Poi che questa opportunità diventi reale, come peraltro accade già in Cina, sarà una decisione in mano ai singoli legislatori. Vedo già molto fermento negli Stati Uniti (dove già esiste l’app Mobile Passport, valida solo in ingresso, ndr), per l’Europa credo ci vorrà un po’ più di tempo. Ma ci arriveremo. Così come arriveremo a legare la validità dei nostri documenti ai dati biometrici conservati sul nostro telefono, in modo che non solo i dati sensibili saranno protetti, ma anche la certezza della validità di questi».
La caratteristica è di quelle ghiotte, per la possibilità di scaricarsi tasche e pensiero da un qualcosa di analogico e ingombrante, proprio perché fisico – come appunto il sempre più vecchio portafoglio -, in cambio di un oggetto, lo smartphone, che è diventato talmente poliedrico negli anni da essere l’unica cosa che non ci scordiamo mai quando usciamo di casa. A differenza poi di quanto abbiamo scherzosamente detto all’inizio, è poi probabile che il servizio Android funzioni anche in assenza di carica sufficiente per accendere il telefono, una sorta di low power mode che permette comunque di mostrare sullo schermo le proprie credenziali anche quando lo smartphone è “morto”. Un po’ come le chiamate d’emergenza in assenza di segnale.
Questa novità è una ciliegina sulla torta confezionata da Qualcomm durante la tre giorni hawaiana sul futuro degli smartphone. La rivoluzione a lungo annunciata del 5G porterà uno spesso strato di nuove applicazioni che sfruttano velocità e bassissimo tempo di risposta della connettività di quinta generazione che va a spalmarsi sul molto che già facciamo, o che potenzialmente possiamo fare, con il nostro telefono. Una serie di funzionalità e caratteristiche che in parte ne definiscono un nuovo modo di utilizzo. Arrivano insomma i super-smartphone.

Jesse Seed presenta Identity Credential

Jesse Seed presenta Identity Credential

Le caratteristiche dei nuovi super-telefoni

Il 2020 viene infatti raccontato da Qualcomm come l’anno di esplosione dei super-smartphone. Questioni tecnologiche, e di marketing s’intende. Al punto che abbiamo trovato davvero interessante la domanda posta da un collega di Cnet – rimasta senza risposta – se la tecnologia sia arrivata ai limiti del realmente utile. Ognuno di noi può dare una propria risposta, in base alla propria esperienza quotidiana. Tornando invece ai super-telefoni del 2020, una certezza è che troveremo l’intelligenza artificiale in tutto, dalla musica – con riconoscimento automatico di una canzone senza dover far partire l’app, per dire – ai testi o ai messaggi vocali e e telefonate. Qui gli esempi sono da Star Trek, con le demo non solo della trascrizione in tempo reale di messaggi in più lingue, ma anche – bellissimo, da vedere all’opera – la possibilità di parlarsi al telefono in due lingue diverse, con traduzione vocale in tempo reale.
Per i maniaci delle fotocamere, il numerone è quello di sensori a 200 megapixel, ossia il doppio di quelli più alti ora sul mercato (i 108 Mp dello Xiaomi Mi Note 10). Si potranno girare video in 8K, e questo porterà a quella che viene definita una nuova era di user generated content, ossia di contenuti prodotti dagli amatori che avranno le stesse caratteristiche tecniche – per la qualità è tutto un altro discorso – delle produzioni professionali. Ossia fare video capture che sfrutteranno le caratteristiche del Dolby Vision, il non plus ultra del momento utilizzato dai big come le major di Hollywood o la stessa Netflix.
Un nuovo sensore permetterà quindi l’accesso al telefono utilizzando non una ma due impronte digitali contemporaneamente. Un passo avanti nella sicurezza, un po’ come accade nei film quando si tratta di sferrare un attacco nucleare. In termini di servizi, infine i nuovi smartphone garantiranno nuovi livelli di presenza virtuale, grazie alla portata della connessione e alle app che la sfrutteranno. Tra queste l’indiana Loom.Ai promette avatar in stile Animoji di Apple ma molto più leggeri e contestualizzabili – che si tratti di una videochiamata di lavoro o in famiglia -, e applicabili a qualunque contesto.
Anche nei videogiochi. E il mobile gaming, passando ai contenuti, è stato come preventivabile uno dei fulcri della discussione sul futuro degli smartphone. Parliamo di gioco in streaming in mobilità e delle opportunità ventilate da servizi come Google Stadia e xCloud di Microsoft. Gli smartphone del futuro saranno device per videogiocare, con telefoni costruiti per essere dedicati ai gamer. Il valore del mercato d’altronde è impressionante, 75 miliardi di dollari quest’anno, con percentuali di crescita senza pari. Così come sembrano quelle degli spettatori di eSports: una diapositiva mostrata durante dal palco del Grand Wailea racconta i fan degli atleti da tastiera in termini di 84 milioni di spettatori negli Stati Uniti, secondi solo ai tifosi del football (141 milioni).
Parliamo secondo i manager di Qualcomm di nuove generazioni destinate a passare dall’essere mobile first a mobile only. Parafrasando Steve Aoki, anche lui sul palco durante i tre giorni hawaiani, per le nuove leve condividere cosa vedono e cosa sentono è fondamentale («E io sono sulla Terra per aiutarli a fare questo»), e lo smartphone è la finestra attraverso cui farlo. Una finestra, continua Aoki, che deve dare loro sempre più possibilità di mostrare agli altri esattamente quello che vivono. In termini di qualità di audio e video, e di velocità di commento. I telefoni di domani dunque, grazie al 5G, garantiranno racconti in streaming in 4K. Andando oltre a concetti che saranno sorpassati. Come il “vecchio” televisore. Cristiano Amon se ne dice certo: i tv del futuro saranno come degli enormi telefoni dove la ricezione di programmi via antenna, cavo o digitale terrestre sarà un retaggio del passato. I programmi arriveranno solo in streaming e dunque in sostanza su schermi che saranno degli smartphone fortemente cresciuti.
Super-telefoni ovunque, quindi. Finché una nuova tecnologia non andrà a sostituirsi anche a loro. Parzialmente o del tutto. A Maui si è parlato anche di questo.

Il futuro, dopo gli smartphone

Le parole chiave ripetute alla sfinimento durante lo SnapDragon Summit 2019, oltre a ovviamente 5G, sono AI, ossia intelligenza artificiale, ed extended reality. E qui arriviamo non solo al presente, o meglio al domani di visori capaci di “aumentare” quello che ci circonda (e qui parliamo appunto di augmented reality) fino a ricoprirlo del tutto con costrutti digitali (e qui siamo nella vera virtual reality). A Maui si è parlato anche del dopodomani, quell’epoca in cui anche gli smartphone pur giovani cederanno (gradualmente) il passo ad altro. Una diapositiva mostrata dal palco del Grand Wailea è capace di spiegare questo futuro meglio delle parole. La vedete sotto: se la nostra tecnologia di tutti i giorni man mano è arrivata a convergere sugli smartphone, questi ultimi finiranno per sciogliersi nel nuovo device del futuro. Gli occhiali.
Se al momento si possono definire quattro categorie di visori per realtà mista o estesa – dagli stand alone a quelli connessi a un pc o console – il domani sarà appunto di occhiali che racchiudono in sé ogni tipo di funzionalità, capaci dunque di virare da scenari «aumentati» in stile Pokemon Go per arrivare a universi del tutto digitali, dunque virtuali. Qualcomm ne ha mostrato un prototipo con a bordo il nuovo chip – la specialità della casa – chiamato XR2. La piattaforma sfrutta ovviamente il 5G e permette un utilizzo in mobilità di funzioni avanzate di intelligenza artificiale da sfruttare direttamente con gli occhi. Saranno due schermi, uno per occhio, da 3K l’uno che ci forniranno informazioni e contenuti in base al contesto di dove ci troviamo o in base a cosa stiamo facendo. Le indicazioni di Google Maps ci appaiono “incollate” su quello che abbiamo di fronte quando stiamo cercando un indirizzo, un videogioco invece si spalma, ricoprendo il reale, mentre siamo seduti sul divano di casa. Salvo poi riportarci alla realtà quando – per esempio – il sistema percepisce il pianto di un bimbo (il nostro, verosimilmente).
Scenari che vanno oltre i racconti fantascientifici più spinti, e che lasciano più di un dubbio sui rischi di alienazione. Ma sono problemi – se ci saranno – che affronteremo a tempo debito. E magari con maggiore attenzione rispetto a quanto non dedichiamo alla dipendenza da smartphone che abbiamo sviluppato negli ultimi anni.

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