Gli squilibri di potere tra politica e giustizia

di Angelo Panebianco

Con la ormai probabile abolizione della prescrizione nei processi penali siamo al punto di arrivo: dopo una pluridecennale attività che, provvedimento dopo provvedimento, ha dilatato sempre più la sfera di applicazione del diritto penale, siamo ora giunti alla «penalizzazione integrale» della vita sociale, pubblica e privata, italiana. Chi volesse saperne di più su quanto è accaduto negli ultimi anni dovrebbe consultare Filippo Sgubbi, Il diritto penale totale (edito da Il Mulino) deliberatamente scritto per essere di facile lettura e comprensione anche da parte dei non addetti ai lavori. In un certo senso la fine della prescrizione è quanto di più vicino ci sia alla introduzione della pena di morte: non morte fisica naturalmente ma morte civile di sicuro. Perché un disgraziato che ci cade dentro avrà la vita rovinata per sempre. L’abolizione della prescrizione però è la ciliegina sulla torta. L’ultimo strappo in un movimento pluridecennale di erosione costante delle garanzie individuali, la definitiva trasformazione, secondo un’antica battuta mai come ora attuale, dello Stato di diritto in Stato di rovescio. Quanto oggi passa — penalmente parlando — il convento, fa apparire il codice Rocco, promulgato ai tempi della Buonanima, come faro e testimonianza di civiltà giuridica. Però a ciascuno il suo mestiere. In tema di dinamiche giuridiche spetta agli esperti di diritto spiegarci le conseguenze di quanto sta accadendo. A me interessa ragionare sulle (lontane nel tempo) cause politiche della situazione attuale.

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