La scelta di Matteo Renzi e il rischio di instabilità

I Cinquestelle volevano fare un governo con il Pd ma senza Renzi e ora si ritrovano la Boschi al tavolo della maggioranza: fino a che punto potranno far finta di niente? E poi c’è da capire come il nuovo arrivato giocherà i suoi numeri in Parlamento. Si dice che proprio per questo Conte e Franceschini stiano già cercando di formare una zona-cuscinetto al Senato, un manipolo di volenterosi pronti a disinnescare eventuali ricatti.

Soprattutto resta da capire che cosa sarà del Pd. Colpito dalla maledizione di Tutankhamon della sinistra, che si scinde senza sosta fin dall’Ottocento, il Pd sembra un partito mai nato. Gli ultimi due segretari, Renzi e Bersani, l’hanno lasciato. Il primo segretario, Veltroni, ha lasciato la politica. Il fondatore, Prodi, ha da tempo spostato altrove la sua tenda. Dal punto di vista numerico lo scisma di Renzi non ne pregiudica il futuro, anzi; al Nazareno fanno notare che su 150 parlamentari se ne vanno in «Italia viva» intorno al 20%, molti meno dei presunti renziani. E i sondaggi dicono che un eventuale nuovo partito farebbe molta fatica nelle urne (e infatti Renzi annuncia che non intende presentarsi in nessuna competizione elettorale fino alla fine della legislatura, che spera duri fino al 2023).

Ma ciò non toglie che il colpo preso dal Pd è serio. Nato per unire culture progressiste diverse, le vede invece dividersi ulteriormente. Concepito per avere un’ambizione maggioritaria, si è ridotto a sperare in un ripristino del proporzionale puro per poter trovare alleanze. Ma tra scissione e proporzionale c’è un rapporto di causa-effetto. Goffredo Bettini, uno dei suoi teorici più sofisticati, ha giustificato l’addio di Renzi proprio con l’imminente riforma elettorale. Così il Parlamento sembra destinato a frantumarsi sempre più in un agglomerato di progetti leaderistici e di gruppi di potere, che si compongono e si scompongono un po’ come avveniva ai tempi di Depretis, l’inventore del trasformismo. I partiti, le opzioni ideali, le grandi scelte programmatiche impallidiscono, a vantaggio della pura manovra e della campagna elettorale perpetua. Aggravando così il già pesante dubbio dell’opinione pubblica sulla politica democratica e la sua credibilità.

Magari sarà proprio la scissione di Renzi a far scattare un allarme. Non è detto infatti che non induca a un ripensamento sulla legge elettorale. È chiaro che con il proporzionale il Pd non tiene, perché non è unito né da una solida cultura riformistica né da una leadership carismatica. Ma siccome il Pd, come tutti i partiti strutturati e presenti sul territorio, è essenziale per tenere in salute la democrazia, forse sarebbe meglio evitare che il Parlamento diventi una sorta di Temptation Island. Anche perché così i governi, come si è già visto e come rischiamo di vedere presto, finiscono per durare pochi mesi. Mentre il Paese, che assiste sgomento a questi scampoli dell’estate più pazza della politica italiana, è già con la testa all’autunno e ai suoi guai.

CORRIERE.IT

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