Chi ha intimidito Giovanni Tria?

In quei giorni i due giornali riportano che il figlio della moglie di Tria ha un rapporto di lavoro con una società, la Tinexta spa, società di servizi finanziari controllata dalle Camere di Commercio, guidata dal compagno di Claudia Bugno, Pier Andrea Chevallard, storico manager del settore. Grazie a questo legame familiare la Bugno sarebbe diventata, in breve tempo, la consigliera più potente di Via XX settembre, molto influente proprio sul tema ‘società partecipate’, a partire da Alitalia e Cdp. L’ultimo casus belli sarebbe stato la scelta di Tria di designarla nel board di Stmicroelectronincs, colosso controllato dal governo italiano e francese che si occupa di microchip.

La questione è rilevante, non derubricabile al “si è sempre fatto così”, perché in fondo, se le notizie escono, c’è qualcuno che le passa e, se sono notizie, i giornalisti hanno il sacrosanto diritto di occuparsene, verificandole e pubblicandole. Diciamolo subito: il caso Bugno è una notizia, che ha una rilevanza pubblica e un risvolto politico ed etico, come ogni intreccio tra un legame “familiare” e un ruolo al ministero. Però tempistica, metodo e conclusione del caso indicano lasciano la sconfortante sensazione che, se sicuramente non si tratta di un dossieraggio, si tratta, di sicuro, di “notizie ad orologeria”. Perché il ruolo della Bugno, il suo curriculum, il suo ruolo da “viceministro ombra”, e la conseguente “guerra a bassa intensità” da parte dei Cinque Stelle verso i tecnici non era un mistero (l’HuffPost ne scrisse l’8 febbraio). Però l’affaire del figliastro esce, con un timing perfetto, proprio nei giorni di massima tensione, accompagnato da un crescendo dichiaratorio di tutti i big dei Cinque Stelle e da uno spin, altrettanto intenso, sull’irritazione verso il ministro per “i conflitti di interessi riportati da alcuni giornali”. Insomma, la conclusione di tutto questo è che il ministro Tria, alla fine, viene riportato a miti consigli. La notizia, in definitiva, ha avuto la più classica funzione di arma di lotta politica. Se invece Tria, nelle scorse settimane, avesse assegnato ai Cinque Stelle la delega sulle partecipate e avesse espresso meno pessimismo sullo stato dell’Economia, il caso del figlio sarebbe stato sollevato? O sarebbe rimasto uno dei tanti vizi privati che non avremmo mai conosciuto, che attengono ai rapporti tra un ministro e i suoi più stretti collaboratori, scelti spesso proprio in virtù di una conoscenza risalente e di legami consolidati nel tempo?

Il caso del “figliastro” rientra, come abbiamo detto, in un dibattito legittimo. Ma il caso del “figlio” di Tria appare decisamente gratuito. Stefano Paolo Tria, figlio del ministro, secondo la Verità sarebbe un “fricchettone” che, evidentemente con simpatie di sinistra e anti-salviniane, sarebbe stato identificato come skipper della barca a vela che faceva da supporto all’imbarcazione del no global Casarini, in missione nel Mediterraneo per recuperare migranti da trasportare sulle coste italiane. Una iniziativa contro il governo. Il che non configura né un peccato, né un reato, né un conflitto di interesse, ma semmai un certo pluralismo culturale all’interno della famiglia Tria, perché non sta scritto da nessuna parte che il figlio di un ministro di questo governo debba essere d’accordo con le politiche sull’immigrazione di Lega e Cinque Stelle.

Insomma, quel che sta accadendo è evidente. C’è un grande interesse sul privato del ministro, dei suoi collaboratori, delle attività professionali e delle inclinazioni politiche, il cui risultato, volenti o nolenti, è quello di “normalizzare il Tesoro”. Corre alla mente un altro caso clamoroso nella politica degli ultimi anni, quello del metodo Boffo, con la pubblicazione della famosa velina che distrusse la carriera dell’allora direttore di Avvenire. Le situazioni, tra oggi e quel caso, sono completamente diverse e le accuse non sono comparabili. Ma il risultato fu che anche in quel caso le notizie, in quel caso anche false, annichilirono quella parte della Chiesa avversa alla morale libertina di Berlusconi. Usare il privato per piegare politicamente l’avversario rimane un elemento di grande inquinamento della lotta politica. Parliamoci chiaro: se il rapporto tra Tria e la Bugno non fosse solo politicamente inopportuno, ma moralmente inaccettabile, allora non dovrebbe essere accettabile neanche il punto di caduta di questa storia, con la consigliera che resta a suo posto e non viene designata nel board di Stmicroelectronics, punto di caduta accettato dai Cinque Stelle. Dunque, non siamo di fronte alla violazione di principi non negoziabili, ma a un negoziato politico piuttosto classico e tradizionale, condotto anche con l’uso di altri mezzi. Il “come” è stato intimidito Tria è piuttosto chiaro. Ed è intuibile il “chi”, inteso come parte politica che questa storia l’ha cavalcata.

Dicevamo all’inizio che questa storia è stata portata all’attenzione di tutti con le affermazioni fatte dallo stesso ministro al Corriere: “L’intimidazione non passa”. Perché un ministro che sostiene di essere intimidito, alludendo a mandanti all’interno del suo governo, è anch’essa una notizia, che non può rimanere appesa. La domanda è conseguente: i professionisti della trasparenza e i soloni della moralità pubblica non credono che, a questo punto, proprio la moralità pubblica esiga di sapere chi e perché lo intimidisce? Questa risposta è pubblicamente rilevante almeno quanto le attività di figli e figliastri.

L’HUFFPOST

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.