«Blue Whale, 4 casi sospetti a Milano. Attenti a tagli e stranezze dei ragazzi»

«Solo nell’ultima settimana abbiamo avuto una decina di segnalazioni, tra Milano e le province lombarde che seguiamo, e altre ne arrivano. Circa la metà paiono falsi allarmi. Gli altri casi invece sono delicati, da approfondire: il sospetto concreto che siano legati alla Blue Whale c’è. In questo momento i ragazzini di 12-15 anni sono molto incuriositi», riflette Ciro Cascone, procuratore capo al Tribunale per i minorenni a Milano.

«La potenza evocativa e suggestiva del simbolo, la Balena blu, cattura; si moltiplicano le pagine e i siti sui social che rimandano a quello che viene definito “gioco”. I ragazzini cercano e ci arrivano da Youtube, Instagram, Twitter». Procuratore, i media fanno bene a trattare l’argomento o si rischia una psicosi?
«I giornali di carta vengono letti dagli adulti, genitori e insegnanti, che in questa fase devono essere informati e messi in allerta per decodificare eventuali stranezze nel comportamento dei minori. La cassa di risonanza per i giovani, quella pericolosa per il rischio emulativo, è un’altra: web e social. Piattaforme che non riusciamo a controllare».

I casi che ritenete «delicati» cosa hanno in comune?
«Ci sono stati riferiti dalle scuole e non dai genitori. Stiamo approfondendo una storia che coinvolge una ragazzina nata nel 2002, due nel 2004 e uno nel 2005. Quasi tutte femmine. La pagina da cui è partita una delle minori aveva scritte anche in russo. Taglietti sulle labbra, tre verticali vicino al polso, la sigla “F57” o una “A” incisa sul palmo della mano. Raccontano tutte di un “curatore” che aggancia sul web e si fa dare il numero di telefono. Da quel momento comunica solo via WhatsApp».

Quali sono le «regole»?
«Il “curatore” lo chiama “gioco”, non svela dove conducono alla fine le cinquanta tappe, insiste moltissimo sulla necessità di non parlarne con nessuno per “far vedere che fai sul serio e non sei piccola”. Parte con “sfide di coraggio” e impartisce “ordini”, così li definiscono le ragazzine. Punta ad alterare il ritmo sonno/veglia e ad abituare al dolore. “I tagli non devono essere profondi”, si sentono dire. Il “curatore”, raccontano in tutti i casi, “ad ogni step chiede prove con foto da mandargli su WhatsApp”: la ragazzina sveglia di notte, le esplorazioni in luoghi insoliti, i piccoli tagli».

Avete idea che dietro ci sia una sorta di organizzazione?
«Piuttosto ci sembra un prolificare di siti, anche “fasulli”, creati ad hoc da persone con problemi, che si travestono da carnefici e riproducono quel gioco di cui hanno letto sul web. Ma gli effetti possono essere analoghi e altrettanto pericolosi».

Ad essere affascinati e finire nella rete sono adolescenti con un disagio conclamato?
«Per lo più paiono ragazzini normali, piuttosto bravi a scuola. Ma quando vengono invischiati in questo viaggio partono in solitaria. Dicono “mi sentivo triste”, e iniziano. In un paio di casi ci sono piccoli episodi precedenti di autolesionismo, che risalgono circa a un mese fa; possiamo pensare che le ragazzine avessero iniziato le sfide e a un certo punto avessero smesso, per poi ricominciare. Il fenomeno fa leva sulla particolare vulnerabilità di alcuni, che vengono più facilmente agganciati, ma diventa trasversale perché per uno che ci casca, ce ne sono tanti altri a rischio emulazione e altri ancora che fanno da cassa di risonanza sui social».

Si parla di una sorta di ricatto che spaventa chi cerca di uscire. È realistico?
«I ragazzi impauriti dicono di aver letto sul web che “se interrompi il gioco ti vengono a cercare a casa”. Ma per ora sono intimidazioni senza fondamento, non ci sono riscontri investigativi su minacce o atti ritorsivi».

Come inquadrate la forma di reato del «curatore»?
«Noi seguiamo i procedimenti sotto il profilo civilistico, per tutelare i minori. Fino a prova contraria i presunti “curatori” sono maggiorenni, quindi dal punto di vista penale è la Procura ordinaria a condurre le indagini, sempre coordinata con noi. Si potrebbero ipotizzare istigazione al suicidio, atti persecutori, persino stalking o una nuova forma di cyberbullismo. Queste sfide hanno a che fare con la ripetizione, l’ossessione, la sottomissione e il controllo».

I ragazzi da sempre amano le prove di coraggio. Ask-me, qualche tempo fa, aveva alimentato varie sfide in parecchi adolescenti.
«La novità sta nell’aver intrecciato il richiamo della sfida con una fascinazione di cupio dissolvi. E l’autodistruzione diventa subito anche celebrazione: il “curatore” chiede di mandare solo a lui le “prove”, ma sui social iniziano a girare foto con braccia incise».

Adulti e genitori come dovrebbero comportarsi?
«La raccomandazione è di monitorare le incursioni sul web e i siti visitati. Far caso a nervosismi anomali ed eventuali segni sul corpo, quasi invisibili. Importante parlare in casa, ai ragazzini, dei rischi legati ai cellulari e all’accesso al web. Far capire che non è un gioco, ma un percorso “pilotato” da altri che conduce alla morte o a farsi del male. Bisogna immunizzarli dal rischio. Inutile invece coinvolgere i bambini più piccoli, che non hanno ancora avuto modo, per fortuna, di farsi venire pericolose curiosità. Noi ogni volta interessiamo i Servizi sociali, per avere conferma che le famiglie riescano a sostenere i figli, senza inutili allarmismi».

CORRIERE.IT

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