Migranti, una crisi che divide

A differenza di quelle interne, le frontiere esterne restano sotto il controllo degli Stati membri. Per i cosiddetti migranti economici e i profughi extra-comunitari sono ancora i governi a manovrare le «sbarre» d’ingresso. Con l’incremento dei flussi, l’immigrazione extra-Ue è diventata un tema chiave della competizione fra partiti, e alcuni di essi continuano ad agitare opportunisticamente gli spettri del nazionalismo etnico.

Oltre agli ostacoli di natura politica e culturale, nel campo dell’immigrazione la cooperazione europea deve affrontare un secondo problema. La vulnerabilità rispetto agli arrivi dipende dalla posizione geografica. È bassa per i Paesi del Nord e del Centro, media per i Paesi dell’Est, alta per i Paesi del Sud, Italia e Grecia in testa. Ci sono delle somiglianze, ma non c’è un vero e proprio «mal comune» da superare insieme; ciascuno può teoricamente fare da solo chiudendo le frontiere. Durante la crisi Covid, nessun Paese poteva difendersi in questo modo dal virus. Il sentirsi parte della stessa barca ha facilitato in quel caso l’adozione di risposte comuni. Nella gestione dei flussi domina invece la logica dello scaricabarile, per quanto riprovevole sul piano etico e umanitario.

Per chiudere la cosiddetta rotta balcanica, nel 2017 la Ue versò dei soldi (tanti) alla Turchia di Erdogan perché trattenesse i profughi sul proprio territorio. Fermamente voluta dalla Germania, questa soluzione non è certo stata edificante (condizioni di vita precarie nei campi, violazione di diritti umani, deportazioni forzate). È però una esperienza che si può ripetere in forma più virtuosa. Un massiccio piano di aiuti ai Paesi africani di origine e di transito potrebbe convenire a tutti. Pensiamo a vantaggi come una maggiore stabilità politica dell’area, la formazione di capitale umano in linea con le esigenze europee di manodopera, l’espansione dei mercati. E non da ultimo, un maggiore rispetto dei diritti umani in un continente dove, in alcune zone, vige ancora la schiavitù.

Giorgia Meloni si è fatta promotrice di una iniziativa in tale direzione con la Tunisia. Ieri si è recata in questo Paese insieme alla presidente von der Leyen e al premier olandese Rutte. Stipulare un accordo con Tunisi sarebbe un passo importante. Purché il progetto sia bene impostato e ben gestito. Evitando di trasformarsi in un nuovo (e, diciamolo, inumano) scaricabarile esterno.

CORRIERE.IT

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