Democrazia e armi: la guerra e le nostre fragilità

L’emergenza della democrazia fra Otto e Novecento fece pensare che essa avrebbe inaugurato una nuova fase delle relazioni diplomatiche fra gli Stati, che l’antica diplomazia basata su colloqui riservati e soffusa di segretezza avrebbe lasciato il campo a una diplomazia trasparente, alla luce del sole. Ma fu una ingenuità, una illusione. Anche in età democratica, per essere davvero efficace, la diplomazia richiede riservatezza. La vera differenza è che i governi delle democrazie, mentre si dedicano alla tradizionale attività diplomatica, devono anche giustificare le loro scelte di fronte all’ opinione pubblica. Per non perderne il sostegno.

Un grande teorico della politica, Alexis de Tocqueville, pensava che la democrazia, a differenza dei regimi autoritari, fosse inadatta ad agire con successo, efficacemente, di fronte alle sfide e alle crisi internazionali. Non è necessariamente così. Le democrazie hanno mostrato in tante occasioni di fronteggiare quelle sfide meglio dei regimi autoritari. Per il fatto che sanno motivare i propri cittadini, nelle situazioni di emergenza, molto più efficacemente di quanto sappiano fare, con i loro sudditi, i regimi autoritari. Però è una illusione pericolosa ritenere che ciò sia inevitabile. Il consenso dei cittadini deve essere alimentato e sostenuto. Non è un mistero la ragione per cui Putin si augura ancora di prevalere in Ucraina. Egli pensa che alla lunga le democrazie occidentali si stancheranno di sostenere Kiev. Spera che gli argomenti di coloro che, in Occidente, sono contrari a quel sostegno, finiranno per spostare dalla loro parte il grosso delle opinioni pubbliche. Spetta a chi è di parere contrario non smettere di rintuzzare quegli argomenti.

CORRIERE.IT

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