Meloni, migranti, Europa: il risiko Tunisia e il prezzo da pagare per fermare gli sbarchi

Francesca Mannocchi

La premier Giorgia Meloni oggi incontrerà il presidente tunisino Kais Saied e la premier Najla Bouden. Visita ambiziosa e difficile insieme. Meloni ha bisogno di un interlocutore che gestisca sull’altra sponda del Mediterraneo centrale il sempre più pericoloso flusso migratorio e porta in cambio la promessa del sostegno italiano con il Fondo Monetario Internazionale che ha sospeso un prestito di quasi due miliardi necessario all’economia tunisina affogata nell’inflazione, garantirà aiuti economici e quote di ingressi legali. Il nodo principale è quello del prestito del FMI, bloccato da mesi dopo che Saied, a fine febbraio, aveva pronunciato un discorso violentissimo contro le persone migranti di origine subsahariana presenti nel paese, provocando un’ondata di assalti e violenze. Saied aveva ordinato alle sue forze di sicurezza di espellere tutte le persone considerate irregolari denunciando quella che ha definito «una cospirazione per cambiare la demografia della Tunisia rendendola più africana e meno araba». Dopo il discorso di Saied le partenze verso l’Europa sono aumentate vertiginosamente e in reazione alla grave crisi sociale, al mancato rispetto dei diritti umani, alla deriva sempre più autoritaria del Presidente Saied, il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale hanno sospeso i prestiti, congelando i finanziamenti col rischio di impantanare ancora di più un paese allo stremo, indebitato per l’80% del suo PIL, con un tasso di disoccupazione giovanile che nelle aree più remote sfiora il 40%. L’Italia sa che senza i fondi la Tunisia potrebbe non riprendersi dalla crisi economica col rischio di una nuova ondata di partenze soprattutto dalle coste meridionali del paese, per questo corre ai ripari. Prima le visite di Piantedosi, le chiamate della Premier Meloni a Saied e oggi una nuova visita lampo nella capitale. L’Italia vuole sbloccare i fondi ma sa che gli aiuti non si ottengono senza riforme, e questo è il nodo più complesso. L’idea è quella di proporre due finanziamenti internazionali, con l’appoggio dell’Unione europea, uno subito per tamponare l’emergenza e un altro finanziamento quando le riforme siano state messe in campo.

Romdhane Ben Amor, responsabile del dossier migratorio del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), da anni monitora il flusso migratorio dalle coste tunisine e analizza l’inefficacia e le conseguenze delle politiche europee. Ben Amor definisce il 2023 l’anno ‘tragico’ delle rotte tunisine. E i numeri gli danno ragione. Dei circa 51 mila sbarchi alla prima settimana di giugno circa 26.555 erano salpati dalla Tunisia, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite, contro i 3.658 dello stesso periodo del 2022.

I numeri dell’anno precedente erano già allarmanti. Nel 2022 quasi 500 persone sono state dichiarate disperse sulle coste tunisine «è sempre più frequente – dice Ben Amor – che di fronte alla scomparsa di barchini partiti dalle coste di Zarzis i funzionari tunisini non rispondano. C’è sempre meno trasparenza sui numeri dei naufragi delle vittime e dei dispersi, continuiamo a chiedere giustizia, a chiedere spiegazioni ma le autorità tunisine sono sempre più opache persino rispetto a barchini carichi di minori e famiglie. Tutto questo è legato alla situazione politica, economica e sociale ma anche alla forte pressione esercitata sul tema dell’immigrazione irregolare. Parla un solo partito: l’Unione Europea e i suoi Paesi membri. La Tunisia rimane in silenzio». Come a dire che il silenzio sulle morti in mare, l’opacità sui dati, le mancate sanzioni e il mancato controllo sull’operato della Guardia Costiera tunisina siano il prezzo da pagare per gli accordi (leggasi fondi) dell’Unione Europea. «L’Unione europea – continua Ben Amor – non è interessata alla democrazia e al rispetto dei diritti umani, ma alla stabilità all’interno dei paesi situati ai suoi confini meridionali, una stabilità che ha più le fattezze di Ben Ali e Gheddafi che non di un processo democratico».

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