Papa Francesco, l’incontro con Zelensky e il comunicato di poche righe che certifica lo stallo: intesa solo sugli sforzi umanitari

di Gian Guido Vecchi

Il pontefice cauto, dopo le difficoltà. L’ipotesi di inviare a Mosca e Kiev due cardinali come emissari
Papa Francesco, l’incontro con Zelensky e il comunicato di poche righe che certifica lo stallo: intesa solo sugli sforzi umanitari

CITTA’ DEL VATICANO — Il cielo sopra San Pietro è grigio come le prospettive di pace. Quando Volodymyr Zelensky arriva nel cortile dell’Aula Paolo VI, poco dopo le 16, si sa già che l’udienza con il Papa non sarà delle più semplici. La prima volta era stato ricevuto da Francesco l’8 febbraio 2020, sono passati poco più di tre anni ed è come fossero dieci, il giovane presidente che si mostrava un po’ intimidito in giacca e cravatta si presenta ora con la felpa militare, incanutito, l’aria tirata. Si stringono la mano nell’auletta dietro la Sala Nervi, «è un grande onore per me essere qui», dice Zelensky accennando un inchino, «la ringrazio per questa visita», sorride il Papa.

Sul tavolo c’è un crocifisso, seduti uno di fronte all’altro è come se si studiassero, il colloquio riservato dura quaranta minuti. E il primo segnale di quanto sia stato faticoso è nelle prime parole della Santa Sede, affidate al portavoce Matteo Bruni: poche righe per dire che si è discusso della «situazione umanitaria e politica dell’Ucraina provocata dalla guerra in corso», salvo aggiungere che «entrambi hanno convenuto sulla necessità di continuare gli sforzi umanitari a sostegno della popolazione». La convergenza si mostra quindi sugli aspetti «umanitari» e non sulla situazione «politica», come a limitare, almeno per ora, lo spazio della «missione di pace» di cui Francesco aveva parlato a fine aprile.

Una differenza confermata da ciò che Zelensky dirà più tardi a Porta a Porta , sillabando che il suo Paese non ha bisogno di mediatori e l’unico piano di pace è quello ucraino. No alla mediazione vaticana, insomma. E in ciò che il presidente ucraino aggiunge in un messaggio, «ho chiesto di condannare i crimini russi in Ucraina, perché non può esserci uguaglianza tra la vittima e l’aggressore», si nota una certa insofferenza che in questi mesi ha accompagnato in Ucraina i tentativi di Francesco di «costruire ponti»: aprire tutti i canali di dialogo possibili verso «la strada della pace» e favorire una mediazione, fino a mettere a disposizione il Vaticano per colloqui tra le parti.

Il Papa non ha mai mancato, ogni settimana, di pregare per «il martoriato popolo ucraino». Del resto lo aveva detto senza veli di ritorno dal Kazakistan, lo scorso settembre, ai giornalisti che gli chiedevano se ci fosse un limite alla disponibilità al dialogo con Mosca: «Io non escludo il dialogo con l’aggressore, a volte il dialogo puzza, ma si deve fare». I comunicati della Santa Sede non fanno cenno all’invito al Papa ad andare a Kiev: ha già detto che lo farà solo se potrà andare anche a Mosca. Francesco ha donato una scultura in forma di ramoscello d’ulivo, Zelensky ha ricambiato con un’opera ricavata da una piastra antiproiettile e un quadro sull’uccisione dei bambini.

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