Zelensky, la sintonia con Meloni che scommette sulla vittoria di Kiev. Telefonata a Draghi

di Monica Guerzoni

Zelensky, la sintonia con Meloni

All’«amico Volodymyr» la premier Meloni ha donato una cassetta di oli e vini pregiati e da Zelensky la «cara Giorgia» ha avuto in regalo il quadro di un’artista ucraina, che racconta a tinte gialle e blu una delle orribili stragi compiute dall’esercito russo. Per Palazzo Chigi lo scambio di cortesie simboleggia quanto stretti siano i rapporti tra i due Paesi e quanto «importante» sia la tappa romana del presidente ucraino, la prima di un tour nelle grandi capitali europee.

La tesi è che l’Italia ne esca rafforzata e che possa proporsi agli occhi degli Usa come «un pilastro» della Ue. In realtà Zelensky era già stato a Parigi e Berlino (e a Roma no), ma a sentire i meloniani questo viaggio ha un valore «più forte», perché coincide con la preparazione di quella «controffensiva di primavera» a cui il leader della resistenza di Kiev crede più che a ogni possibile mediazione. Per Zelensky il piano di pace cinese non esiste e di quello vaticano l’Ucraina «non ha bisogno».

Ad accoglierlo a Ciampino è il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che gli ricorda di essere stato lui, da presidente del Parlamento Ue, il primo politico italiano a incontrarlo a cena a Bruxelles nel 2019. L’ospite d’onore arriva in auto nel cortile di Palazzo Chigi e con Meloni sono baci, abbracci e strette di mano. La sintonia è forte e anche l’armocromia, poiché l’abito nero della premier si intona con la felpa militare. «È nato un rapporto di personale amicizia» dirà lei dopo i 70 minuti di faccia a faccia nel suo studio, in inglese e senza interpreti. La premier rinnova il sostegno al piano in dieci punti di Zelensky e suggella il patto di collaborazione con una dichiarazione impegnativa: «Noi scommettiamo sulla vittoria ucraina». È un sostegno «a 360 gradi», politico, umanitario e militare. Zelensky non svela i piani segreti della controffensiva e chiede «molte ambulanze blindate», invoca armi e munizioni e la leader e il ministro della Difesa assicurano che un nuovo pacchetto di strumentazioni militari è in preparazione. Meloni garantisce «l’applicazione rigorosa delle sanzioni» e ogni sforzo per integrità territoriale, sovranità e indipendenza di Kiev: «Una pace giusta potrà esserci solo se la Russia si ritira». Obiettivo per il quale la premier si spenderà nel G7 in Giappone.

I colloqui continuano a tavola, nella sala delle Marine, presenti anche il consigliere diplomatico Talò e il sottosegretario Fazzolari. Nel menù insalata di mare, branzino e gelato. Crosetto sottopone a Zelensky le sue preoccupazioni: «La controffensiva ucraina sarà pesante anche per il suo popolo». Nessuno lo sa meglio di lui, che insiste nel ricordare che «i morti di Putin sono ucraini» e dà voce a un tormento che lo assilla: la paura che l’opinione pubblica occidentale possa cedere e premere sui governi perché allentino il sostegno all’Ucraina. «Davvero qualcuno in Europa pensa che la pace si mantenga facendo finta di niente quando ti sparano?», si sfoga Zelensky, usando parole che ricordano l’attacco a Berlusconi nella conferenza stampa con Meloni a Kiev, il 21 febbraio. Questa volta il nome che lo agita è quello di Salvini e forse non basteranno chiarimenti e smentite a diradare le nubi. Il premier ucraino guarda con sospetto chi invoca il «cessate il fuoco» senza curarsi che la fine delle ostilità lascerebbe territori ucraini occupati dai russi.

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