Perché le elezioni in Turchia sono importanti per l’Europa (e per il mondo)

L’Unione europea: tra diritti e storiche tensioni

Sullo sfondo resta il tentativo di riavvicinamento con Bruxelles. Kılıçdaroğlu ha promesso che tra i primi atti del suo governo ci sarà l’accordo per la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, e che l’intesa arriverà entro tre mesi dalle elezioni. Più complicato sarà invece riavviare i negoziati di adesione all’Ue, finiti in stallo a causa della svolta anti-democratica intrapresa da Erdoğan negli ultimi anni di potere. Anche sulla questione dei diritti, Kılıçdaroğlu si è detto pronto a intervenire. In una riunione del Chp, tenutasi simbolicamente l’8 marzo, il leader dell’opposizione ha promesso di restaurare la Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne, da cui Erdoğan si era ritirato nel 2021. “La democrazia arriverà in Turchia e la Convenzione di Istanbul tornerà sicuramente in vigore”, ha dichiarato.

Difficilmente invece saranno risolvibili le storiche tensioni con la Grecia a Cipro. Dopo un momento di ottimismo al vertice Nato del 2018, dove Erdoğan e l’allora primo ministro greco Alexis Tsipras avevano avuto un confronto pacifico, nel 2020 Atene e Ankara hanno sfiorato uno scontro armato per il controllo delle acque – e quindi del gas – intorno all’isola. Anche l’opposizione sembra non voler fare nessun passo indietro. L’alleanza dei 6 partiti ha affermato che, in caso di vittoria, “perseguirà gli obiettivi di protezione dei diritti acquisiti della Repubblica turca di Cipro del Nord”.

I sei leader dell’opposizione turca Gultekin Uysal, Meral Awakeners, Ahmet Davutoglu, Kemal Kilicdaroglu, Ali Babacan e Temel Karamollaoglu. Foto: Efekan Aykuz/Depoo Photos/Fotogramma.

La politiche migratorie

E poi c’è la politica interna e la gestione dei rifugiati provenienti in gran parte dalla Siria. In una campagna elettorale focalizzata principalmente sulla crisi economica nazionale, Kılıçdaroğlu ha dichiarato di voler pensare prima alla Turchia e al suo popolo. Il suo progetto a lungo termine è quello di un progressivo rimpatrio dei 3,6 milioni di persone (dati Unhcr) che hanno trovato rifugio nel Paese negli ultimi 10 anni. Sia Erdoğan che Kılıçdaroğlu hanno annunciato un’accelerata nei rimpatri, con il leader dell’opposizione che promette il rientro in Siria di 2 milioni di persone nel giro di due anni. “Turkey first”, ha scritto in un tweet del 30 marzo.

Le future politiche migratorie del paese sono cruciali per gli equilibri internazionali. Negli ultimi anni Erdoğan non ha esitato a usare i rifugiati come armi politiche per far valere i suoi interessi con l’Ue, che dal 2016 manda soldi ad Ankara per fermare gli arrivi ed esternalizzare i confini. Proprio dalla Turchia passano due importanti rotte migratorie: quella balcanica verso la Grecia, sempre più pericolosa a causa di muri e respingimenti, e quella via mare dall’area di Smirne, da dove è partito il barcone naufragato a pochi metri da Cutro.

I rapporti con i vicini: Siria, Arabia Saudita e Israele

L’evoluzione della questione migranti in Turchia è strettamente legata ai rapporti che il prossimo presidente instaurerà con Bashar al-Assad. Erdoğan sta cercando di riavvicinarsi alla Siria, e un miglioramento delle relazioni con Damasco è tra i punti cardine anche del programma di politica estera di Kılıçdaroğlu. Tuttavia, il presidente siriano ha già chiarito che accetterà di incontrare Erdoğan o il suo successore solo quando Ankara sarà pronta a ritirare completamente i propri militari dal Nord della Siria.

L’approccio di Erdoğan nei confronti di Damasco rientra in una strategia più ampia che il presidente turco ha iniziato ad adottare in particolare dopo la pandemia di Covid-19. Il leader dell’Akp ha riavviato il dialogo con Paesi strategici in Occidente e Medio Oriente, per evitare ricadute economiche derivanti da un approccio troppo duro con i vicini. Emblematici sono gli incontri, nel 2022, con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e, soprattutto, con il principe ereditario saudita Mohammad bin-Salman.

I rapporti tra Ankara e Riad erano precipitati dopo l’uccisione del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, avvenuta nel 2018 nel consolato saudita a Istanbul. L’incontro tra Erdoğan e bin-Salman a giugno dell’anno scorso aveva scatenato la reazione di Kılıçdaroğlu, affidata a un tweet: “L’omicidio nella nostra terra ha il suo prezzo. Il nostro conto con lui non è chiuso. Pagherà per ciò che ha fatto”.

Il nuovo presidente dovrà anche gestire il complicato rapporto con Israele. Negli ultimi anni, Kılıçdaroğlu è stato molto duro: “Israele dovrà essere isolato a livello internazionale se continua la sua politica di massacri e se continua a espandere gli insediamenti illegali sulle terre palestinesi”, diceva già nel 2018. “C’è un prezzo per il martirio dei nostri cittadini in acque internazionali”, aveva rincarato l’anno scorso, riferendosi all’incidente della flottiglia Mavi Marmara del 2010, in cui nove attivisti turchi furono uccisi dalle forze israeliane. Kılıçdaroğlu si è espresso con fermezza anche sul caso dell’arresto in Israele della turista turca dopo l’assalto alla Moschea di al-Aqsa del 4 aprile: “La rilasci immediatamente. Questo influenzerà le nostre relazioni future”.

Erdoğan, da parte sua, cerca da tempo di intestarsi il ruolo di difensore del mondo musulmano, e della causa palestinese, affermando il primato di Gerusalemme su Medina e La Mecca come città sacra dell’Islam. Sulle violenze della polizia israeliana, ha detto: “La Turchia non può rimanere in silenzio. Calpestare la santità di al-Aqsa è la nostra linea rossa”. Nonostante questa e altre dure prese di posizione nel passato, Erdoğan ha aperto alla normalizzazione dei rapporti con Israele e, nel 2022, i due Paesi hanno riattivato le ambasciate. Ma Ankara avverte: “Questo non significa che smetteremo di difendere i palestinesi”.

INSIDEOVER

IL GIORNALE

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.