La premier ascolti la lezione Amato-Fini

Montesquieu

Basterebbe, per uscire dal vicolo cieco di una politica vuota di idee, seguire il suggerimento che da New York Giuliano Amato offre a Giorgia Meloni: per uscire una volta per tutte dal vicolo cieco della disputa sul fascismo e l’antifascismo come unica, o quasi, essenza del dibattito politico, a quasi ottant’anni dalla data di nascita della democrazia, della Repubblica, della Costituzione. Con la precisazione che la citazione una volta tanto non insegue la consueta originalità dell’autore, che in questo caso esprime un concetto assai diffuso negli esseri pensanti, ma la sua autorevolezza.

Basterebbe, quindi, che Giorgia Meloni ripartisse ufficialmente dal punto di arrivo in materia di Gianfranco Fini (il famoso “male assoluto” proclamato in terra di Israele), per attenuare l’accusa di attaccamento a quelle radici. Fino a farla rapidamente e definitivamente dissolvere, almeno lì dove alberga un po’ di buona fede. Nessuno oggi, almeno lì dove alberga quel po’ di buona fede, accuserebbe Fini di nostalgia di una dittatura, e nemmeno di attaccamento a quelle radici; e non tanto e non solo per la radicalità e la fermezza di quell’abiura, quanto per la inequivocità e la nettezza di quel percorso di uscita da una destra ancora ricca di ambiguità e doppisensi. Come dimostra il legame subito instauratosi tra il pensiero finiano e inequivocabili campioni della democrazia. Tali erano e sono Rutelli, Tabacci, Casini, e altri. Ma nessuno, a destra, presidente del Consiglio in testa, evoca il nome di Fini, così come nessuno si propone di adottare il suo percorso. Nessuno rievoca lo strappo insindacabile di Alleanza nazionale e di Fini, più semplice ritrovare la memoria del Movimento sociale di Almirante. Era lì, a portata di mano, un polo conservatore tale da riabilitare l’appellativo storicamente nobile di destra. Si preferisce continuare ad animare lo sgorbio che si è imposto in giro per le democrazie, sempre più scivolanti. A certi voti, a certe compagnie, forse a certe idee non si rinuncia volentieri. Troppo faticoso sostituirli.

Così a destra, ahimè. In quella di Gorgia Meloni, non la più rozza ed estrema, forse la più intelligente e aperta. Ma al tempo proviamo a immaginare, sui palchi del vicinissimo 25 aprile, presentarsi, con lo spirito giusto dell’antifascismo, il presidente del Senato, lo stesso capo del governo, e altri campioni della stessa maggioranza, anche di altro partito. A immaginare che lì, su quei palchi, quegli stessi pronuncino quelle parole che tutti dicono di auspicare. Giubilo a sinistra? Sarebbe, probabilmente, il peggiore 25 aprile possibile per una parte, difficile da quantificare ma probabilmente non infima, della nostra politica antifascista e sedicente di sinistra.

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