Allarme sanità pubblica: ecco cosa sta succedendo

Paolo Russo

ROMA. Non si andrà come a Parigi sulle barricate per le pensioni, ma per ora sulla piazza virtuale della Rete, domani forse in quelle reali del Paese, gli italiani hanno iniziato a mobilitarsi a difesa di un altro pilastro del welfare: la sanità pubblica. Al momento sono oltre 103 mila le firme apposte alla petizione a difesa dell’Ssn lanciata il 10 marzo scorso sulla piattaforma Change.org, ma gli organizzatori, tra cui l’ex senatore Vasco Errani, puntano a superare l’asticella delle 150 mila. A dimostrazione che la partita del consenso si gioca sempre più sul terreno della difesa del diritto alla salute, messo in discussione dalle liste d’attesa e dalla conseguente e strisciante privatizzazione. A documentarne l’inesorabile ascesa è l’annuario statistico dell’Ssn appena pubblicato. Nel 2021 le strutture private accreditate sono salite a 995, erano la metà solo 10 anni fa e rappresentano ormai il 46,9% del totale. In un decennio aumentano da 5.587 a 8.778 anche gli ambulatori specialistici, mentre i presidi deputati all’assistenza residenziale da 4.884 salgono a 7.984, raggiungendo così l’84% del totale.

Senza risorse, sostengono i promotori della mobilitazione, le Regioni sono costrette a tagliare i servizi per evitare di andare in piano di rientro e così le liste di attesa si allungano creando sempre maggiori discriminazioni tra chi può pagare il privato e chi deve rinunciare alle cure. E con i conti di Asl e ospedali sempre più in rosso la situazione rischia di precipitare. In questi giorni il Mef sta facendo le pulci ai conti regionali: Campania, Lazio, Toscana e Umbria rischiano di essere commissariate, mentre Calabria e Molise lo sono già e sembrano destinate a restarci a lungo. Con tutto quel che ne consegue in termini di altri tagli, blocco delle assunzioni e aumenti delle imposte locali.

«Fino a quando i cittadini non scenderanno in piazza, è difficile che la politica rimetta al centro dell’agenda il Servizio sanitario nazionale», afferma Nino Cartabellotta, tra i sostenitori della petizione online e che in qualità di presidente della fondazione Gimbe ieri ha presentato un piano di salvataggio dell’Ssn (e del «diritto alla salute a rischio») in 14 punti. Secondo Gimbe occorre prima di tutto rendere disponibili i servizi sanitari tramite reti integrate di assistenza, superando la dicotomia ospedale-territorio e integrando assistenza sanitaria e sociale. Questo significa far prendere in carico i pazienti cronici dalle nuove strutture territoriali, case e ospedali di comunità, che devono però agire in collegamento con l’ospedale. Ma le nuove strutture rischiano di rimanere scatole vuote, perché non è stato ancora preso nessun provvedimento che vincoli a prestare la loro opera nelle case di comunità gli 82 mila tra medici e pediatri di famiglia, specialisti ambulatoriali convenzionati ed ex guardie mediche.

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