La rivalità Usa-Cina allunga la guerra

Per Pechino, scottata dal fallimento del colpo di Stato a Kiev promesso da Putin come fosse passeggiata di salute e preoccupata dall’espansione dell’Alleanza Atlantica verso l’Indo-Pacifico, è il momento della revisione tattica. All’insegna della diplomazia e della asserita volontà di pace. Di cui il leggero abbassamento di tono su Taiwan, dopo anni di martellamento militaresco, è l’espressione più eloquente. Xi vorrebbe quindi che Putin chiudesse rapidamente l’avventura ucraina. Soprattutto, non può permettersi la sconfitta e magari la disintegrazione della Russia, su cui deve poter contare nell’allestimento del teatro anti-americano di sapore terzomondista.

In questa guerra di attrito decisivo è stabilire a chi giovi il prolungarsi del conflitto. Chi ha il tempo dalla sua? I russi, forti di una superiorità netta in uomini, risorse e armamenti, sono convinti di poter resistere un minuto più degli ucraini. I quali invece sperano di farcela grazie al sostegno americano e di alcuni Paesi europei, Polonia in testa, da cui dipendono. Micidiale tiro alla fune, che lascerà comunque il “vincitore” più debole e instabile di quanto fosse il 22 febbraio. Ma questa è la (il)logica di guerra, cui noi europei ci eravamo illusi di esserci per sempre immunizzati.

Oggi il fronte è quasi in stallo. Non durerà molto a lungo. Né Putin né Zelenski pensano di poter spacciare per vittoria ciò che hanno preso o perso finora. Nelle variabili future bisognerà considerare che in assenza di cessate-il-fuoco il conflitto potrebbe degenerare e connettersi ancora più palesemente al fronte indo-pacifico, a rischio d’incendio. L’inerzia della guerra non spinge alla pace.

LA STAMPA

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