Cara Elly, basta silenzi sulla Costituzione

Montesquieu

Con la tenue speranza di non sbagliare (quella di sbagliare, la preferita nel merito, è ancora più tenue), risulta che il debutto pubblico di Elly Schlein nella nuova veste di segretario del Partito democratico abbia toccato molti temi, tutti o quasi importanti e direttamente connessi all’anima politica e sociale del partito. Forse anche qualcosa in memoria delle singolari origini del partito, dei suoi affluenti per lungo tempo incompatibili. Partiti, altro che correnti. Lettura, rapida, e ascolto altrettanto rapido delle informazioni al riguardo, non danno traccia di notizie, opinioni, rassicurazioni sugli argomenti che seguono. Nulla sul permanere del rapporto genetico simbiotico con la nostra Costituzione, con la difesa della stessa da eventuali (certi) progetti di intaccarla, animati da inesperti più qualche vandalo della materia, in punti tutt’altro che marginali. Nella sua anima di impianto parlamentare.

Più ancora, e prima ancora, nessuna priorità alla verifica dello stato di conservazione della Carta dalla manipolazione subdola della stessa: soprattutto proprio laddove continua a fare bella mostra di sé nella sua apparente integrità, essendo invece maciullata quotidianamente, per comune convinzione e singolare acquiescenza. Quest’ultima, l’acquiescenza, la forma più grave di tradimento nella relazione, praticata, senza essere professata, proprio dal partito costituzionale per definizione e oltre la sua stessa volontà: vedi la riduzione brutale della taglia delle due Camere.

Nulla di tutto ciò, in sintesi, a quanto risulta, nella precarietà delle fonti. Un punto, forse: la caccia a cacicchi e capobastone (una bella immagine, come esordio, se non altro come gergo). Basta con le correnti, anche se le più astute stanno già al riparo. Detto non con riferimento alla degenerazione correntizia, sempre presente ma meno appariscente via via che la crescente mediocrità delle figure personali toglie visibilità alle articolazioni. Ma come punto da cui partire. Qualcosa (le correnti, come articolazioni che proteggono da rischio del pensiero unico, come arricchimento, come misura della democrazia del capo), se non spiegata – e c’è tutto il tempo per farlo -, che esiste solo nel Partito democratico, e che lo distingue dai partiti personali, la piaga purulenta e contagiosa della nostra politica a partire dal 1994, o giù di lì. Qualcosa che si trova e resiste nella profondità della formula dell’articolo 49 della Costituzione, quando si parla della democrazia interna come del requisito essenziale dei partiti costituzionali. La nostalgia è ineluttabile. Poi venne la stagione renziana, il primo a parlare del Pd (e poi di Italia viva) come partito senza correnti: non come forma di autodisciplina dei militanti, ma come imposizione del capo.

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