Crisanti, l’ultimo mohicano dell’emergenza che ora riconquista la ribalta. «Per Speranza provo dispiacere»



Perché fu un tempo di morte e di paura, si sbagliava in buona fede, tra sospetti battenti e cupe perfidie. Adesso, sembra proprio che Crisanti abbia comunque ricostruito tutto. È così?

Il senatore è felice, e un filo agitato. «Preferirei non parlare». Allora interviene la sua portavoce, lo convince, hai straparlato con chiunque nelle ultime ore, evita di fare un casino proprio con il Corriere e allora lui si tuffa, senza indugi, nel suo brodo preferito: il colloquio con un giornalista.

Venti minuti di gentili chiacchiere al cellulare (alla fine si scopre che risponde da un ristorante, ma a lungo è stato divertente immaginare che rispondesse dalla villa palladiana comprata l’anno scorso a San Germano dei Berici, nel vicentino). Sensazioni: è convinto d’aver fatto un ottimo lavoro. «La mia perizia non ha precedenti: mai ne era stata realizzata una che avesse, per oggetto, una pandemia». Precisa: «Non è un atto di accusa: è una ricostruzione tridimensionale di ciò che accadde. Ho fornito ai giudici una mappa con cui orientarsi. Per esempio: ho ricostruito l’intera catena di comando del ministero della Sanità. E averla chiara, può aiutare i giudici a capire chi doveva e poteva fare qualcosa, e chi no». Zero imbarazzi con il ministro dell’epoca, Roberto Speranza, ormai quasi collega di partito. «Più che imbarazzo, è dispiacere» (la tocca piano, eh). «Imbarazzo se fossi in debito con la coscienza. Invece sono stato spinto dal dovere morale che abbiamo con le vittime che potevano essere salvate». Sulla Lombardia, durissimo già da mesi: «Arrivò impreparata al disastro».

Nient’altro. Ora l’inchiesta che ruota sulla sua perizia. Servirà?

Nell’incertezza, un pensiero, e chi ci crede una preghiera, per chi — in quei mesi — morì.

CORRIERE.IT

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