Crisanti, l’ultimo mohicano dell’emergenza che ora riconquista la ribalta. «Per Speranza provo dispiacere»

di Fabrizio Roncone

Il senatore e microbiologo: la mia è una mappa con cui orientarsi

Crisanti, l’ultimo mohicano dell’emergenza che ora riconquista la ribalta. «Per Speranza provo dispiacere»
Il virologo Andrea Crisanti, 68 anni, eletto senatore con il Partito democratico

Poi parleremo della perizia cimiteriale che ha consegnato alla Procura di Bergamo.

Subito, però, un passaggio sulla felicità. La sua.

Perché Andrea Crisanti è un uomo felice. Di nuovo. Inaspettatamente. Porca miseria, se la vita sa essere pazzesca. Pensava di essere ormai costretto alla routine di un qualsiasi senatore del Pd, per ora senza mezza prospettiva di fomentare una crisi di governo e condannato perciò alla noia di Palazzo Madama, sedute ovattate e solitarie passeggiate dentro corridoi con le pareti di velluto e puttini a forma di applique, le luci sempre accese.

Ma non quelle che piacciono a lui.

Lui adora le lucine delle telecamere, il tecnico che ti applica il microfono sul reverse della giacca, il sottile brivido della diretta: e poi, quando parte la pubblicità, noi dei giornali che lo cerchiamo, che abbiamo ricominciato a cercarlo sul cellulare, adesso solo incerti se chiamarlo ancora prof o senatore, ma tanto lui è sempre una vera dolcezza (a 15 mila euro netti al mese, essere dolci è il minimo).

Così — ormai a 68 anni suonati — eccolo di nuovo in pista, Crisanti. Personaggio centrale. L’ultimo mohicano di quel mischione furibondo di epidemiologi, virologi, anestesisti, entomologi, tutti diventati famosi dentro il lungo incubo della pandemia, tutti docenti e primari e luminari fino ad allora sconosciuti e di botto diventati oracoli indispensabili: noi con il rosario dei morti, dei contagiati, con lo spavento di uno starnuto, il puro terrore anche solo di sfiorarci e loro collegati da luoghi spesso imprecisati, nella penombra di sagrestie ospedaliere, a indicarci strade incerte e, talvolta, sconosciute persino a loro. Per dire di Crisanti. Il 20 novembre del 2020, con la sua aria un po’ rassegnata e un po’ pedagogica, tipo che io vi avverto, ma poi fate un po’ come vi pare, dice: «Per produrre un vaccino, normalmente, ci vogliono dai 5 agli 8 anni. Per questo, senza dati certi, io non farei il primo vaccino a disposizione».

Definitivo. E considerate che, all’epoca, Crisanti è l’acclamato suggeritore di Luca Zaia, il quale grazie ai suoi consigli ha evitato che alla piccola Vo’ Euganeo dei primi casi Covid-19 toccasse il mortale destino capitato al Lodigiano e alla città di Bergamo (con Zaia, tempo dopo, lite furibonda: e insulti, e minacce, vabbé). Passa qualche settimana: e, il 2 gennaio, in collegamento dall’ospedale di Padova, dov’era ordinario di Microbiologia, le telecamere beccano però Crisanti con la manica della camicia arrotolata e una dottoressa china sul suo braccio. Perché, nel frattempo, il vaccino se lo fa anche lui, mica è matto. «Matto proprio no — spiegò Giorgio Palù, professore ordinario di Microbiologia e Virologia, preside della facoltà di Medicina all’Università di Padova e presidente Aifa — Crisanti è un mio allievo, lo conosco bene: solo che non è un virologo. È un esperto di zanzare».

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