Meloni, i primi 100 giorni del suo governo: forza (e debolezza) al primo giro di boa

di Roberto Gressi

Per l’esecutivo esordio senza scossoni sui mercati o per lo spread. Tensioni contenute con la Ue. Ma fibrillazioni interne e dietrofront minano il cammino delle riforme

Meloni, i primi 100 giorni del suo governo: forza (e debolezza) al primo giro di boa

Dai, che l’esame di maturità, quello che arriva alla fine dei Cento giorni, dopo la più breve delle sbornie elettorali del passato recente, è stato, tutto sommato, superato. Nessun terremoto nei mercati, spread nei limiti, la Borsa italiana che va meglio di altre volte, un po’ debole il rapporto con l’Europa, che però si presenta spesso arcigna ma non nemica, le alleanze internazionali che reggono anche alla prova dell’Ucraina, con un posto dignitoso al tavolo dell’Occidente. La paura e la speranza che Giorgia Meloni sapesse cavarsela solo nell’orto di casa di Fratelli d’Italia e dell’opposizione, si sono rivelate perlomeno eccessive. Una buona tenuta con gli alleati riottosi, fin dalla formazione del governo, un aiuto dagli avversari divisi. Ma anche qui con una doppia, possibile, lettura. Da una parte il cupio dissolvi dei partiti d’opposizione, più impegnati a battagliare tra di loro piuttosto che a costruire un’alternativa. Dall’altra, l’evolversi di una democrazia normale, anomala per l’Italia, dove le differenze all’interno di uno stesso schieramento, almeno teorico, prevalgono sull’alleanza contro il nemico comune.

Qui il webreportage sui primi 100 giorni del governo Meloni

I conti pubblici

La sufficienza sulla legge Finanziaria, tenuto conto del poco tempo a disposizione per metterla in piedi, con pochi soldi a disposizione e i prezzi dell’energia alle stelle. Il contante a cinquemila euro, una marcia indietro sul Pos a sessanta euro dopo il naso arricciato di Bruxelles, una battaglia scomposta con Emmanuel Macron sui migranti, che ha rivelato come la strada ardua delle intese possa essere più produttiva di una spallata, una sfida con le navi delle Ong per ora più identitaria che fattuale. Il rospo da ingoiare sull’approvazione del Mes, del quale comunque non si farà uso, con la Lega intenzionata a fare le barricate. Un capitombolo iniziale sulla norma contro i rave party, che aveva connotazioni liberticide, poi corretta in corso d’opera. Un buon rapporto con Mario Draghi, che ha consentito un passaggio di consegne relativamente poco traumatico sul Pnrr, anche se non mancano le incognite sulla capacità di utilizzare al meglio i fondi europei. Una ferita sul ritorno prepotente delle accise, ma almeno in parte reso inevitabile dallo stato dei conti pubblici. Il malumore al momento di fare il pieno non manca, ma la minirivolta dei benzinai è stata ben lontana dall’effetto Forconi, con Forza Italia in buona parte delusa nel tentativo di cavalcare il malcontento. La luna di miele con l’elettorato, magari un po’ in via di rallentamento, ma con Fratelli d’Italia che naviga nei sondaggi intorno al trenta percento.

L’appuntamento ormai prossimo con le elezioni regionali, che, a scanso di sorprese improbabili, porterà il centrodestra a confermare la supremazia in Lombardia e a strappare il Lazio al Pd. Un avvio a ostacoli sull’ennesimo tentativo di riformare la Giustizia, con Giorgia Meloni che un po’ loda e un po’ frena il suo ministro Carlo Nordio, perché non vuole scontri con la magistratura. E non li vuole per non rovinare il clima dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, ma anche perché sa che finché c’è confusione non si conclude mai niente. E poi il Covid che pare aver deciso di offrire una tregua, stemperando di fatto le polemiche sul reintegro dei medici no vax e sulla cancellazione delle multe a chi non si è vaccinato.

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