Tre mesi di governo: la difficile strada del rigore

di Antonio Polito

L’accusa di aver fatto una retromarcia su Roma insegue i primi tre mesi del governo Meloni. Spesso proviene dagli stessi critici che l’accusavano di voler fare la marcia su Roma. La coerenza in politica è una bella cosa. Ma perseverare negli errori sarebbe anche peggio che correggerli. Così se, dopo anni di agitazione sovranista, il nuovo governo rispetta i vincoli europei sul bilancio e alla fine ratificherà anche la riforma del Mes, si dovrebbe applaudire alla resipiscenza, più che condannare l’incoerenza.

Piuttosto, ci si può chiedere se queste retromarce, o ripensamenti, non siano il prezzo che il governo ha deciso di pagare a un obiettivo più ambizioso. E cioè il tentativo – che già traspare da molti segnali – di restaurare un principio di autorità, scommettendo sul rilancio della capacità dello Stato di far rispettare legge e ordine. Non si tratta solo del tradizionale programma securitario di tutte le destre del mondo. In Italia infatti, dopo decenni di sfibrante incertezza e di trionfo dell’interesse particolare, ripristinare l’ordine è necessario anche nella gestione dei soldi pubblici.

Ed è necessario mettere un po’ di ordine anche nelle politiche fiscali, nella lotta alla corruzione, nel rapporto tra magistratura e politica, nel funzionamento della macchina legislativa del Parlamento. Difendendo con rigore la nostra credibilità internazionale.

Tagliare le accise sulla benzina, per esempio, sarebbe stato più funzionale a un progetto di acquisizione del consenso day-by-day; ma al costo di nove miliardi di nuovi debiti, o di minori aiuti a imprese e famiglie per il caro-energia (e il vantaggio sarebbe andato per i due terzi ai consumatori più benestanti). Mandare a quel paese la Commissione europea sul deficit, d’altro canto, sarebbe stato più in linea con la pedagogia della destra, ma avrebbe gettato nel caos il Paese, oltre che i conti pubblici.

Per ripristinare un po’ d’ordine bisogna insomma anche sacrificare un po’ di populismo, quella malattia senile della società italiana che ci ha fatto sfiorare più volte il baratro in questi anni. E dire la verità al Paese, invece di nutrirlo con la demagogia. La Meloni scommette sullo Stato e sui suoi apparati per riuscirci. Talvolta con una certa ingenuità, come quando il governo ha pensato di poter calmierare il mercato della benzina con la Guardia di Finanza, e invece ha finito con il dover rincorrere la serrata dei benzinai. Talvolta invece con successi che magari non sono ascrivibili alla sua azione, ma incarnano il messaggio più profondo del binomio «legge e ordine», come nel caso dell’arresto di Messina Denaro.

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