Massimo Cacciari: “Un centro europeo per il dopo Draghi”

MASSIMO CACCIARI

Non è una spiegazione, infatti, ma un infantile balbettio accusare del fallimento generale chi, nell’ultima scena, si trova con l’arma del delitto in mano. Soprattutto se a costui quell’arma sembra essere servita per il suicidio. Le dimissioni così irrevocabili da portarci alle elezioni durante l’estate, e nelle drammatiche condizioni in cui versa il Paese, potrebbero essere spiegate al “popolo sovrano” soltanto in due modi: o si pensa che il risultato della nuova consultazione elettorale possa rappresentare una decisa affermazione della linea portata avanti dall’attuale Presidente, così da svilupparla finalmente nel senso delle riforme auspicate senza più impedimenti (come avvenuto varie volte nella storia delle democrazie europee), oppure si prende atto che l’attuale maggioranza, e dunque lo stesso governo che ne riflette la composizione, non sono assolutamente in grado neppure di garantire l’attuazione dei provvedimenti e degli impegni già presi, e che ogni tentativo di farli sopravvivere sarebbe puro accanimento terapeutico. Se è così, perché di grazia si è ripetuto nelle sedi ufficiali e in tutti i bollettini governativi offerti dai media esattamente l’opposto? Fino a giungere ai calorosi ringraziamenti per il meraviglioso lavoro prestato, i grandi servizi resi al Paese, da maggioranza e ministri?

Carattere intramontabile dell’agire politico e della comunicazione politica in questo Paese, da trent’anni a questa parte, sembra essere la vuota retorica sugli impegni e sui beni comuni, costantemente smentita dai fatti, ma soprattutto l’idea, che vi è sottesa, che l’opinione pubblica non sia in grado di comprendere un discorso sobrio, disincantato, realistico sui problemi e sulle contraddizioni da affrontare, e perciò anche sulle difficoltà dell’azione di governo. Lo “Stato tutelare” – il cui pericolo era già avvertito dai primi teorici della democrazia – sta celebrando nella nostra gestione delle cosidette “emergenze” un piccolo trionfo. Come si parla del debito che straripa come fossero soldi trovati sotto l’arcobaleno, così le ragioni di questa crisi si risolvono demonizzando questo o quell’altro “assassino”. Semplificare è la parola d’ordine, sempre e ovunque, per l’epidemia, per la guerra, per le dimissioni del Governo. Semplificare perché l’opinione pubblica è composta da infanti che non sarebbero in grado di comprendere la dura legge dei fatti?

Conte voleva le elezioni anticipate? Via, non deliriamo. Conte cercava semplicemente di legittimarsi come capo dei 5Stelle e “posizionarsi” rispetto a Di Maio. C’è chi va in cerca di un asino e trova un regno, e chi va in cerca di voti e li perde. Se, poi, si “esalta” il peso dell’uscita di Conte, è conseguenza inevitabile che da parte della destra si chieda la riformulazione del patto (si fa per dire) di governo, con tutta la ufficialità e la ritualità necessarie. A questo punto, altrettanto inevitabile è che non ci stia il Pd, poiché, a questo punto, la soluzione della crisi avrebbe segnato un’affermazione netta di Salvini. Ora invece è lui che “precipita” in Fratelli d’Italia, determinando qualche sconquasso anche in Forza Italia, non votando la fiducia su un ordine del giorno fatto apposta per non lasciare alcun margine di trattativa. E si spera che tutti coloro che non hanno seguito, senza se e senza ma, la leadership Draghi paghino pegno alle prossime elezioni. Sarà un buon calcolo? Finora la vichiana legge dell’eterogenesi dei fini (andare a Oriente e trovare Occidente) l’ha fatta da padrona. Fuorchè forse per Draghi stesso, che probabilmente questa “uscita” meditava almeno da quando, con la fallita presidenza della Repubblica, era evidente l’intenzione “liquidatoria” nei suoi confronti di 5Stelle e destra.

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