Il clima che cambia le vette: perso il 30% del volume del ghiacciaio in 10 anni

La storia per immagini

È vero: anche tante fotografie davano il senso di questa ritirata e fuga dei ghiacci. Nel documentario «Chasing Ice» del 2012 James Balog e il suo team avevano assemblato immagini di anni diversi su molti ghiacciai, creando una cronistoria di una morte annunciata. Ma l’importanza del massiccio studio del 2019 deriva dal fatto che la ricostruzione in 3D dei «due» ghiacciai della Marmolada, quello del 2004 e quello del 2014, era stata ottenuta con la tecnologia Gps. Numeri indiscutibili e che davano voce al lamento del gigante di ghiaccio.

Le analogie con l’Everest

Che i ghiacciai si spezzassero lo sapevamo già: chi conosce il versante nepalese dell’Everest sa che c’è un feroce concorrente della pericolosità della stessa zona della morte, sopra gli 8 mila metri. Ed è appena sopra il campo Base a 4.900 metri: il ghiacciaio e la seraccata del Khumbu. Con la loro instabilità e fragilità ogni anno mietono vittime. Il singolo episodio può essere causato da una maledetta giornata fuori dalla norma, dall’imprevedibilità del meteo. Da mille sfortunate concause decise dal fato. Ma la preoccupazione di Luisa Cristini è la ripetibilità della rottura dei ghiacci a causa del cambiamento del clima. «Stanno accadendo gli stessi identici fenomeni al Polo Sud e sulla costa della Groenlandia che studiamo con attenzione: si fonde la base e il fiume sottostante fa scivolare il ghiaccio sopra che, cadendo, si spezza. Quello che dovremmo domandarci è se siamo arrivati al punto di collasso dei ghiacciai».

Gli indizi da cogliere

Gli indizi ci sono: come le guglie di roccia che proprio nelle immagini dello studio pubblicato nel 2019 erano emerse all’interno del ghiacciaio trasformandosi in zone calde di rottura. La scienza può cercare di capirli. Siamo capaci di ascoltarli?

CORRIERE.IT

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