Il dopo Salvini? E’ già iniziato

di Stefano Folli

Fino a qualche giorno fa era opinione comune che Matteo Salvini fosse un personaggio politico in declino, sì, ma in grado di arrivare alle elezioni del 2023 e lì giocarsi le sue residue possibilità. I sondaggi lo fotografavano intorno al 15 per cento, ossia meno della metà dei voti ottenuti nelle Europee del 2019, ma pur sempre più di quel che raccoglieva la Lega prima dell’avvento del cosiddetto “capitano”. Peraltro il partito nordista è ben strutturato al suo interno, costruito intorno a un’idea gerarchica che riconduce tutti o quasi i fili del potere al leader. In questo non assomiglia ai 5S, l’altro movimento populista a cui viene spesso e in modo improprio accostato, anche per le memorie del governo giallo-verde del ’18. Ora le certezze sembrano sul punto di sgretolarsi. Come spesso avviene nella Storia, un evento figlio del caso o di un grossolano errore finisce per scoperchiare la pentola in cui l’acqua già stava bollendo, benché si facesse finta di non vedere. L’evento è naturalmente la mancata missione in Russia, su cui è già stato detto tutto. Quel che colpisce è che Salvini abbia preferito imbarcarsi in una simile, imprudente avventura invece di dedicarsi alla campagna per i referendum sulla giustizia del 12 giugno. È come se il capo leghista, uno dei maggiori promotori della consultazione, non avesse alcuna fiducia nella possibilità di raggiungere il quorum. Ma allora perché ha lavorato alla raccolta delle firme? Perché ha teorizzato l’urgenza di chiamare gli italiani a pronunciarsi sulle anomalie del sistema giudiziario? Evidentemente non era un impegno strategico per la Lega, ma solo un diversivo. La vicenda russa, su cui era stato fatto un investimento politico esclusivo, si è invece risolta in un doppio disastro. Da un lato ha danneggiato l’immagine del governo, perché si è visto che un partito importante della maggioranza ha tentato di giocare una sua partita senza raccordarsi con Palazzo Chigi e la Farnesina. Ma soprattutto il danno è per la Lega. Il dilettantismo è una colpa che in politica non si perdona, benché la maggioranza relativa in Parlamento sia tuttora appannaggio di un movimento, i Cinque Stelle, che quattro anni fa trionfò proprio in nome del dilettantismo e dell’incompetenza.

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