La lentezza pericolosa dell’Europa

di Danilo Taino

Il premier lettone ha detto che bloccare il greggio costerà all’Unione, «ma è solo denaro, gli ucraini pagano con la vita»

«Non ci siamo ancora», aveva detto Ursula von der Leyen prima del Consiglio europeo di ieri a Bruxelles. Un compromesso è stato in realtà raggiunto ma la fatica dei leader nel sostenere l’Ucraina è risultata evidente. Il vertice era stato convocato per approvare, tra l’altro, il sesto pacchetto di sanzioni contro Mosca. Finalmente, l’accordo è stato trovato ma era il 4 maggio quando la presidente della Commissione di Bruxelles aveva proposto una nuova serie di misure, la più importante delle quali è il blocco delle importazioni di petrolio e derivati. Da allora, sono passati 27 giorni, mentre la guerra ha corso, durante i quali i capi di Stato e di governo hanno dovuto registrare divisioni e mancanza di senso dell’urgenza. Il blocco ci sarà ma entro fine anno, quando la guerra sarà probabilmente finita. Nonostante il via libera di stanotte, a Kiev e in alcune capitali europee il timore è che la determinazione di certi governi a sostenere l’Ucraina sia in recessione.

L’invasione lanciata da Putin è entrata in una fase decisiva che potrebbe determinare gli esiti della guerra. Sul terreno, l’Armata russa sta compiendo passi avanti e l’esercito di Kiev al momento è in difficoltà.

Il Cremlino spinge per ottenere successi, per conquistare porzioni di Ucraina (che spesso ha devastato) e per verificare fino a dove può arrivare prima di proporre un cessate il fuoco che potrebbe nominalmente chiamare vittoria. Di fronte all’evolvere delle operazioni militari, i movimenti lenti delle diplomazie e della politica europee sono palesemente fuori tempo. Per evitare una vittoria del Cremlino, occorre, oltre alla resistenza degli ucraini, che la Russia esaurisca materiale bellico e denaro: questo è il senso delle sanzioni sul petrolio (e, in prospettiva ancora più difficile da raggiungere, sul gas). Il fatto che arrivino lentamente alza una serie di interrogativi e indebolisce il fronte che non vuole vedere l’esercito di Putin tornare a casa con un pezzo di Ucraina, premio per l’aggressione.

Nominalmente, le ragioni dei lunghi contorcimenti per arrivare al sesto pacchetto di sanzioni sono la minaccia di veto del primo ministro ungherese Viktor Orbán e la necessità di trovare un compromesso sull’import di petrolio russo che non favorisca alcuni Paesi europei a scapito di altri. In realtà, l’opposizione di Orbán ha consentito a più di un governo di continuare a comprare per più giorni greggio da Mosca. E le discussioni sulla necessità di garantire la concorrenza nel mercato unico dell’energia sono un dettaglio rispetto al «quadro più ampio» della guerra, ha detto ieri il premier lettone Krišjanis Karinš: bloccare il greggio costerà all’Europa — ha aggiunto — «ma è solo denaro, gli ucraini pagano con la loro vita». Il guaio è che, alla radice delle lentezze, tra i 27 ci sono differenze di valutazione di portata strategica.

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