Descalzi (Eni): «Serve una strategia comune dell’Unione europea per l’energia. Sì a un tetto del gas»

E per averla stiamo pagando prezzi elevati.

«Siamo a 5-6 volte quello che si pagava il gas in tempi normali se è questo che intende».

In Europa però si sta accettando perlomeno di discutere la proposta italiana di un tetto ai prezzi del gas.

«E’ evidente che oggi, ripeto, paghiamo 100 quello che pagavamo ieri 20. Chi è preoccupato di provvedimenti distorsivi del mercato dovrebbe riconoscere che in realtà il mercato è già distorto».

Un tetto aiuterebbe?

«Se ben studiato e architettato, potrebbe. Certo, dovrebbe trattarsi di una misura temporanea. Si permetterebbe di riempire più velocemente gli stoccaggi di gas oltre che calmierare i prezzi. A una situazione speculativamente eccezionale si deve rispondere con misure eccezionali intervenendo a monte dove si realizzano ingiustificati superprofitti. Altrimenti il rischio è distruggere il mercato».

E anche imprese e famiglie che ne stanno pagando le conseguenze.

«Eh sì, non dobbiamo dimenticare che siamo in una realtà fatta di sistemi economici e industriali ancora in buona parte legati ai modelli energetici tradizionali. E’ chiaro che ne derivino inflazione, prospettive di crisi economica, imprese che rischiano di chiudere, impoverimento delle famiglie».

Ma la politica, il governo hanno fatto abbastanza per contrastare questo processo?

«Il governo è intervenuto tempestivamente. Le misure di contrasto ci sono state e sono state opportune».

Il conto è stato salato, dagli 8 ai 14 miliardi solo per le bollette… E voi? Cosa avete fatto?

«Abbiamo investito. Ci siamo adoperati per poter dare il nostro contributo alle nostre istituzioni sfruttando al meglio e accelerando la produzione delle ingenti risorse di gas che abbiamo scoperto negli ultimi anni, dirottandole verso l’Europa e verso l’Italia. Con una strategia consolidata da decenni».

Ma tutto questo ci aiuterà a renderci autonomi dal gas russo?

«Tutto questo ci consentirà di sostituire interamente il gas russo nell’inverno 2024-2025».

E questo come può accadere?

«Ogni compagnia ha la sua strategia. Noi vogliamo avere rapporti consolidati con le popolazioni al di là della politica del momento. Le nostre scoperte di giacimenti in Egitto, Libia, Algeria, Ghana, Nigeria, Congo, Indonesia, sono state condivise. Le risorse rimangono in buona parte dove sono state scoperte. Non solo. Ci siamo preoccupati di fornire infrastrutture e tecnologie per garantire lo sviluppo di quei Paese. Un solo esempio: in Libia l’80% del gas scoperto resta nel Paese. E’ un messaggio che l’Europa dovrebbe fare suo pensando soprattutto all’Africa».

Che c’entra l’Africa?

«L’Europa è ancora un continente di Stati, è forse il mercato più grande del mondo. Ma non ha risorse proprie. Chi le ha? L’Africa, che è anch’essa un continente fatto di Stati che stanno seguendo in parte la via dell’unione, dell’Europa. Ma non riesce ad avere l’energia necessaria allo sviluppo perché non dispone di infrastrutture e tecnologia. Che l’Europa può dargli. Una complementarietà tra due attori che possono tornare ad avere un ruolo nella geopolitica mondiale».

Il sogno di Mattei che riteneva la geopolitica decisiva. Ma tutto ciò non rallenta la transizione energetica?

«No se si investe in modo massiccio nell’innovazione e nello sviluppo tecnologico, nonché nella velocizzazione del time to market sia di tutte quelle tecnologie in grado di generare energia completamente pulita, sia di quelle volte a decarbonizzare le fonti tradizionali, come la cattura e lo stoccaggio della CO2, che comunque necessariamente ci dovranno accompagnare nella transizione verso la completa decarbonizzazione».

Scusi ma qui si tratta di parlare soprattutto di soldi, investimenti…

«Ovvio, noi come Eni stiamo seguendo percorso basato sulla leadership tecnologica, nella quale Eni ha investito 7 miliardi di euro negli ultimi sei anni, e che punta ad affrontare la transizione energetica non soltanto puntando fortemente sulle rinnovabili (con obiettivo di 6 GW installati nel 2025 e di 60 GW a fine percorso di decarbonizzazione), ma intervenendo in ogni ambito di decarbonizzazione del sistema, dai settori hard to abate fino alla mobilità sostenibile, anche dove rinnovabili ed elettrificazione non sono — per tecnologia o efficienza — in grado di arrivare. Solo per fare alcuni esempi, produrremo energia non solo sviluppando le rinnovabili, solare ed eolico, ma con idrogeno verde e blu, bio carburanti nelle bioraffinerie, nonché metanolo e idrogeno dai progetti di valorizzazione dei rifiuti; faremo chimica sostenibile sfruttando i materiali da riciclo e materie prime rinnovabili, e produrremo bio metano da processi di upgrading del biogas. Il tutto potendo indirizzare i prodotti decarbonizzati che genereremo verso un vasto parco clienti retail, commerciale e industriale, e relativo alla mobilità sostenibile».

E il nucleare così divisivo?Voi avete investito in una startup con uno spin off del MIT di Boston (il CFS) che sembra promettente.

«Precisiamo che stiamo parlando di fusione a confinamento magnetico, qualcosa completamente diverso dal nucleare attuale basato sulla fissione. Non parliamo di fantascienza ma di una tecnologia pulita, in grado di generare energia pressoché infinita e che all’inizio del prossimo decennio potrebbe avere le prime versioni industriali. E’ per questo che stiamo progressivamente aumentando il nostro impegno nella traduzione industriale di questa tecnologia destinata a diventare il vero game changer della transizione energetica. Il CFS di cui Eni è il primo azionista ha fatto un aumento di capitale da 1,8 miliardi raccolti in pochi giorni. Ciò significa che il mercato ci crede».

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