Il Cremlino e la strategia del macigno così l’armata russa stritola gli ucraini

È strano che i generali ucraini non abbiano previsto che la guerra, prima o poi, sarebbe diventata questa e che rischiavano di perderla. In fondo sono usciti dalle stesse accademie militari dei loro nemici di Mosca, hanno imparato le stesse nozioni.

In guerra la propaganda è indispensabile, qualche volta perfino virtuosa se sei vittima di una aggressione. Il rischio però è che a un certo punto si inizi a credere a ciò che hai inventato per indebolire il nemico e motivare coloro che possono aiutarti. Forse gli ucraini hanno creduto che l’esercito russo, respinto nelle prime settimane, fosse davvero una accozzaglia impotente, formata da soldati demotivati o dediti solo al saccheggio, che i carri armati fossero ferri vecchi che potevi annientare con un drone da giardino, che giovanotti sui «quad» potessero fermare intere divisioni. Ma la guerra è hegheliana purtroppo, impone la regola dei fatti, di ciò che è.

L’esito non è scontato. Forse l’avanzata russa si fermerà, nuove armi americane, una artiglieria altrettanto pesante, permetterà di imbastire nuove linee di resistenza, contenere, costringere i russi a una guerra più dispendiosa in uomini e materiali.

Oppure: i russi stanno semplicemente cercando, allargando questo universo di distruzione, la smagliatura, il punto critico nello schieramento avversario. Può accadere in un attimo, ovunque: in qualche villaggio un reparto resta senza munizioni, l’unica linea aperta con le retrovie è sotto tiro. Oppure i soldati hanno la sensazione che a destra e a sinistra non ci siano più i reparti che si coprivano reciprocamente. Quel bombardamento che sembra infinito, il fumo, la polvere, i feriti che urlano: non si riesce a ragionare. Subentra il panico, voltano le spalle, si ritirano di corsa. Basta questo, ecco lo strappo. Una maglia dopo l’altra l’ordito si sfilaccia.

Prima che ciò possa accadere l’Occidente, americani e inglesi da una parte e l’Europa devono decidere, non hanno più spazi di rinvio. Occorre rispondere alla domanda che la illusione di una vittoria ucraina aveva permesso di mettere da parte: Putin è accettabile per le democrazie, può coesistere in un ordine mondiale che non sia dominato dalla paura e dalla prevaricazione attraverso la forza? Se la risposta è no, come assicuravano fino a ieri Biden e Johnson, allora per salvare l’Ucraina bisogna scendere direttamente in guerra. L’idea di consumare l’autocrate di Mosca con una lunga, velenosa guerriglia condotta sul terreno dagli ucraini, è superata dai fatti.

Se Putin può convivere con le democrazie allora bisogna convincere Zelensky a non farsi illusioni, che tutto quello che i russi hanno conquistato dal 2014 a oggi è definitivamente perduto, dire la verità agli ucraini. Bisognerà poi non telefonare a Mosca, ma trattare apertamente con Mosca. C’era una idea buona nel metafisico «piano di pace» italiano, esistito a quanto pare solo sui tweet e sui giornali e non depositato nelle cancellerie, che apre una nuova stagione della diplomazia «creativa», ipotetica, usa e getta. Era la proposta di convocare dopo il cessate il fuoco una conferenza sugli equilibri in Europa, concessione dolorosa perché era questa la vera prepotenza putiniana, ma necessaria. —

LA STAMPA

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