Le sette e l’inganno di credersi speciali

La storia recente mostra i pericoli che si corrono nel momento in cui ci si lascia sedurre da guru senza scrupoli. Basti pensare ai novecento-diciotto adepti del Tempio del popolo che sono morti in Guyana nel 1978, o ai settantaquattro membri dell’Oicts (Organizzazione internazionale cavalleresca tradizione solare) morti tra il 1994 e il 1997 in Svizzera, in Québec e in Francia. Certo, questi episodi particolarmente scioccanti sono per fortuna rari. Ma, come hanno mostrato bene Max Weber ed Ernst Troeltsch, le sette sono sempre problematiche: caratterizzate dall’intensità dell’impegno quotidiano che richiedono ai propri membri – un lavoro continuo di purificazione e di santificazione che non ammette compromessi con la società – rappresentano un rischio costante per l’integrità fisica e mentale di chi ne fa parte. Soprattutto in un’epoca di crisi come la nostra in cui è facile, per guru e leader carismatici, illudere la gente che, all’interno della propria setta, si possano trovare nuovi significati per l’esistenza. Gli adepti si sentono allora “scelti” e “speciali”. Prima di perdere qualsiasi controllo sui propri affetti, sul proprio pensiero e sulla propria vita. Talvolta fino alla tragedia finale.

LA STAMPA

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