I canali del dialogo per la pace

È chiaro che non si può darla vinta a Putin. Ma non si può neppure smettere di parlare con lui. È quello che ha spiegato il Papa nell’intervista al direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, offrendosi di partire per Mosca (senza trovare sinora una mano disposta a stringere la sua). È quello che sta facendo Emmanuel Macron, la cui rielezione — con buona pace dei nostri sovranisti — è stata positiva per l’Europa e per l’Italia. È quello che sta pensando di fare il cancelliere Olaf Scholz, che tra i leader occidentali è il più in difficoltà. Dell’eredità della Merkel, che ha rivendicato e raccolto, fa parte anche la dipendenza dell’industria tedesca dal gas russo. A complicare il quadro ci sono i due leader storici dell’Spd, il partito di Scholz: il presidente della Repubblica Steinmeier ha litigato con Zelensky per poi fare pace; l’ex Cancelliere Schröder — un signore che prese oltre venti milioni di voti, mentre Scholz non è arrivato a dodici — ora fa l’impiegato di Putin, e nonostante questo gli ucraini gli hanno affidato una mediazione rivelatasi inutile. Né finora hanno portato frutti altre mediazioni, che potrebbero però rivelarsi preziose: quella di Israele, che tra Russia e Ucraina affonda le proprie radici storiche — Golda Meir era nata a Kiev, il leader del sionismo Zabotinsky era di Odessa —; e quella di Erdogan (la Turchia è nella Nato ma non aderisce alle sanzioni contro Mosca).

Insomma, i canali di dialogo esistono. Usarli non significa tradire gli ucraini, ma aiutarli, e nello stesso tempo proteggere gli interessi europei. Perché è l’Europa a pagare il costo delle sanzioni, dell’aumento dei prezzi del gas e del grano, della crisi dei profughi, che ovviamente vanno accolti. È sull’Europa che incombe il rischio dell’escalation nucleare. È all’Unione europea che toccherà, se come tutti auspichiamo l’Ucraina entrerà a farne parte, finanziare la ricostruzione. Siccome tra alleati ci si dice la verità, queste cose a Biden e a Johnson vanno dette.

Putin è indifendibile. Ma i casi sono due: o si ha un golpe pronto, e la certezza che non finisca come quello del luglio 2016 contro il suddetto Erdogan, che quest’anno festeggia il ventesimo anniversario al potere; oppure è con Putin che si deve parlare. Da posizioni di forza: l’unico linguaggio che Vladimir Vladimirovic capisca.

CORRIERE.IT

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