Gas in rubli, l’ultimatum all’Europa e il ripensamento: perché Putin ora esita

di Federico Fubini

È una ritirata o un riposizionamento strategico, nella guerra economica che la Russia ha aperto da mesi contro l’Unione europea manipolando le forniture di gas dall’autunno. E procede in parallelo con la ritirata (o il riposizionamento strategico) che il Cremlino ha varato nelle ultime ore, quando ha annunciato che la morsa dell’esercito russo attorno a Kiev almeno per ora è destinata ad allentarsi. Mercoledì il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha fatto sapere che il passaggio al pagamento del gas naturale in rubli non è più imminente. Poco importa che fino a ieri sembrasse decisamente tale. «Questo processo richiede più tempo da un punto di vista tecnologico», si è limitato a commentare.

L’ultimatum dello zar e il ripensamento

Peccato che fosse stato Vladimir Putin in persona ad annunciare una settimana fa che l’Europa avrebbe avuto giusto sette giorni per fare i preparativi: il dittatore pretendeva che l’Italia, la Germania e gli altri «Paesi ostili» dell’Unione europea smettessero di pagare in euro come da contratto e iniziassero a usare la valuta di Mosca per approvvigionarsi di materia prima. In teoria domani Putin avrebbe dovuto ricevere il rapporto dalla sua banca centrale sulle modalità tecniche del cambiamento.

Le reazione dell’Europa

Ma il significato della mossa del Cremlino era politico: era una richiesta di sottomissione da parte di Putin ai Paesi europei; era una prova per misurare fino a che punto la dipendenza di questi ultimi dal gas russo lo stava rendendo irresoluti e malleabili. Ma se questo era il test, è fallito. Germania e Italia, le due economie più legate alle forniture russe, hanno detto con gli altri governi che la richiesta del Cremlino sarebbe stata una violazione dei contratti. Hanno fatto capire che avrebbero fatto a meno del gas, piuttosto che pagare in rubli. Tutta l’Europa, senza divisioni, ha preso la linea della fermezza. E ha pagato: di fronte al rischio di non poter più vendere il gas e privarsi dunque di circa un miliardi di euro al giorno di entrate, Putin oggi ha avviato una marcia indietro. Anche a costo di contraddirsi rispetto alle minacce di una settimana fa. Se c’è una lezione in questa vicenda è che opporre resistenza alle forzature del Cremlino – contrariamente a quanto si pensi – non peggiora la situazione. Al contrario, funziona. Anche nella guerra economica che corre in parallelo a quella sul terreno.

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