Donbass, perché la Russia lo vuole e l’Ucraina non lo molla

di Milena Gabanelli e Francesco Tortora

Negli ultimi tre anni gli oligarchi ucraini sono stati i principali avversari interni di Zelensky. L’inaspettata guerra con la Russia ha modificato gli equilibri del Paese e i miliardari locali ora hanno scoperto di avere un interesse in comune con il capo dello Stato: salvare il Donbass e le regioni confinanti al di qua del fiume Dnepr dall’invasore russo. Ma cosa c’è di straordinario in quei territori? Le enormi risorse naturali che tengono in piedi l’economia del Paese, e la maggior parte delle industrie sulle quali gli oligarchi hanno costruito un’enorme fortuna.

Il Donbass e le risorse naturali

Il Donbass è dunque il cuore industriale dell’Ucraina, una grande area mineraria e famosa per le riserve di carbone. I giacimenti si trovano nell’Ucraina sudorientale e nella regione adiacente alla Russia sudoccidentale. La zona più sfruttata copre quasi 23.300 km quadrati a sud del fiume Donets, ma le riserve di carbone, stimate in 31 miliardi di tonnellate (il 92,4% del carbone presente nel sottosuolo ucraino), si estendono anche verso ovest fino al fiume Dnepr. Con il 35% delle attività minerarie e di estrazione, il 22% della produzione manifatturiera, il 20% di riserve energetiche e il 18% di riserve d’acqua il Donbass (formato dalle regioni di Donetsk e Luhansk, mentre la regione storica comprende anche l’oblast di Dnipropetrovsk) è da sempre una delle aree più ricche dell’Ucraina. Nel 2014, prima che le autoproclamate Repubbliche di Donetsk e Lugansk scatenassero il conflitto separatista su una linea del fronte di oltre 450 km, la regione nel suo complesso valeva il 14,5% del Prodotto interno lordo della nazione (circa 20,7 miliardi di euro) e produceva il 25% delle esportazioni. L’impatto della guerra «a bassa intensità» è stato tragico: in sette anni circa 14 mila vittime, migliaia di imprese hanno chiuso, la produzione industriale è crollata del 70%, strade e linee ferroviarie distrutte e un inquinamento sei volte la media nazionale. Un rapporto dell’Istituto di studi economici internazionali di Vienna stimava nel 2020 il costo minimo della ricostruzione in 21,7 miliardi di dollari. Nonostante la guerra, nel 2017 le esportazioni dalla regione raggiungevano ancora il 10% del totale dell’Ucraina, e Mariupol era la base della grande industria siderurgica del Paese.

Il primo obiettivo dell’invasione russa

Il Donbass è il primo obiettivo dell’invasione russa. Impadronirsi delle miniere di carbone serve al Cremlino, sia per onorare il recente accordo da 20 miliardi di dollari con la Cina che prevede una fornitura nei prossimi anni di circa 100 milioni di tonnellate, sia quello con l’India, stipulato nel novembre del 2021, che garantisce una dotazione di 40 milioni di tonnellate all’anno. E poi ci sono tutte le altre risorse: il Donbass e in generale i territori limitrofi al Dnepr sono ricchi di giacimenti di gas (è qui la maggior parte dei circa 1.100 miliardi di metri cubi di riserve di tutta l’Ucraina), ferro (buona parte dei 27 miliardi di tonnellate di riserve), di uranio (utilizzabile come combustibile per i reattori nucleari), titanio (serve alle costruzioni di navicelle spaziali, di missili e armature), manganese (per la produzione di alluminio, acciaio e leghe di rame) e mercurio (spolette per munizioni e sistemi spaziali e missilistici). Per l’Ucraina perdere quei territori sarebbe un colpo pesantissimo all’intera economia. E un problema anche per quello stretto numero di oligarchi che controllano le grandi e medie aziende dell’Ucraina e rappresentano il 73% del Pil.

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