Ian Bremmer: «Una minaccia seria come a Cuba 1962, serve una via di fuga dall’escalation»

di Massimo Gaggi

Putin e la minaccia del nucleare, il politologo Usa: «È la mossa di un leader con le spalle al muro. Occorre concedere qualcosa che gli consenta di fare un passo indietro senza perdere la faccia»

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Il gelido scacchista è diventato un giocatore di poker disperato che rischia il tutto per tutto? Bluffa? Quanto è seria la minaccia nucleare di Putin? «È seria» risponde il politologo Ian Bremmer, fondatore e capo di «Eurasia», principale centro Usa di ricerche sui rischi internazionali. «Non è la Terza guerra mondiale, ma è la minaccia molto seria di un leader con le spalle al muro: stavolta ha sbagliato i calcoli, ma non può tornare indietro. E allora alza la posta. Credevamo che il mondo non avrebbe più rischiato un conflitto nucleare, che non ci sarebbero state più crisi come quella dei missili sovietici a Cuba. Invece siamo tornati al 1962».

C’è un calcolo razionale nella sua mossa o, visto anche il suo linguaggio brutale, Putin ha perso il senso della misura e la capacità di analisi? Un Bismarck che si è trasformato, dice lo storico Paul Kennedy sul «Corriere», in un leader dogmatico, quasi allucinato?
«Sicuramente chi ha conosciuto il Putin calcolatore freddo ma lucido, oggi non lo riconosce. Effetto dei due anni di isolamento? È malato? Non lo sappiamo. Di certo non sembra più avere la capacità di analisi di un tempo. Credo che la sua reazione, l’allerta nucleare, abbia due motivi dietro i quali ci sono due suoi errori: da un lato la sottovalutazione della compattezza dell’Occidente e dell’efficacia delle sanzioni economiche che si stanno materializzando. La banca centrale russa rischia di non poter attingere alle sue riserve, il rublo crolla, la gente è in fila davanti ai Bancomat per ritirare i suoi soldi. Sono cose che dal suo bunker non aveva previsto e che lo spaventano. Il secondo fattore è la resistenza degli ucraini. Anche qui ha sbagliato i calcoli. Ma non può tornare indietro». GUERRA IN UCRAINA: LE ANALISI

Fino a ieri si diceva che le sanzioni sono inefficaci, ora sembra che siano più pericolose dei cannoni. L’Occidente ha sbagliato a sostenere l’Ucraina con rappresaglie che possono strangolare l’economia russa?
«No, non ha sbagliato. Anzi, Biden e l’Europa si sono mossi bene e sono rimasti compatti: davanti a un attacco senza precedenti bisognava reagire con le sanzioni economiche più dure, una volta escluso l’intervento militare diretto. Ma al tempo stesso andava lasciata aperta un’uscita di sicurezza: qualcosa che possa consentire a Putin di fare un passo indietro senza perdere la faccia, una volta capito che ha sbagliato i calcoli».

Fare concessioni a un aggressore che conduce un attacco così feroce?
«Be’, certamente sarebbe stato più facile cercare una via di uscita prima dell’attacco, ma adesso si tratta di non peggiorare le cose. La resistenza ucraina offre una possibilità. La Russia sta usando solo una parte delle truppe ammassate intorno all’Ucraina. Ha la forza militare di chiudere la partita, ma dovrebbe fare un massacro a Kiev e nelle altre città: decine di migliaia di civili morti e dopo sarebbe davvero impossibile negoziare. Sarebbe come aver usato l’arma nucleare. Rischiamo di finire in una strada senza ritorno. Torniamo alle sanzioni. Perché si adottano? In Iran volevamo far cadere il regime degli ayatollah. Non ci siamo riusciti, ma quello era l’obiettivo. Vogliamo fare cadere Putin? Lui sa di essere il bersaglio ed è pronto a giocare anche carte estreme».

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