Giustizia, scontro totale tra politici e tecnici

Francesco Grignetti, Ilario Lombardo

Roma. C’è una grana clamorosa, nascosta tra le righe della riforma dell’ordinamento giudiziario. E potrebbe rivelarsi deflagrante. Riguarda le famose «porte girevoli», ovvero il divieto per un magistrato di scendere in politica e poi tornare indietro alla toga.

Sulla carta, tutti d’accordo. Ma il diavolo si nasconde nei dettagli, come ha scoperto il deputato Enrico Costa, di Azione: il blocco delle porte girevoli funzionerebbe per i magistrati che si candidano e ancor di più per quelli che vengono eletti, non per quelli che sono «prestati alla politica» in quanto tecnici, anche se poi diventano ministri o sottosegretari.

Una grossa grana perché stavolta i partiti sono messi di fronte a una scelta che viene ricondotta al presidente del Consiglio in persona. «È una decisione di Draghi», così Costa s’è sentito dire quando, martedì sera, seduto di fronte alla ministra Marta Cartabia e al capo di gabinetto del premier, Antonio Funiciello, ha chiesto lumi sul perché di questo divieto dimezzato. «Il divieto vale solo per gli eletti» è la spiegazione che gli fornito la Guardasigilli.

E dunque, al momento, nel testo della riforma del Consiglio superiore della magistratura ritoccato da Cartabia l’interdizione non varrebbe per quei profili più tecnici che, senza passare dal voto, pure partecipino attivamente a governi politici e a giunte regionali o comunali. Un distinguo che non piace ai partiti perché si renderebbe impossibile tornare in magistratura ad un semplice consigliere di opposizione, ma non a chi ha costruito una carriera nelle istituzioni all’ombra della politica e magari occupa posizioni di primissimo piano. «La commistione esce dalla porta e rientra dalla finestra», protesta Costa.

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