Stracci a Cinque Stelle, Conte a caccia di prove e dossier per screditare il ministro: adesso un processo online

Annalisa Cuzzocrea

Per dirla con Roberta Lombardi, che conosce Luigi Di Maio da prima di Giuseppe Conte ed è già entrata più volte in conflitto con lui, «convochiamo una bella assemblea on line e facciamo un bel duello digitale all’ultima verità o all’ultima balla». La capogruppo del Movimento 5 stelle in Regione Lazio, una delle prime a schierarsi con l’ex premier anche durante la lite con Beppe Grillo, si è ricordata in queste ore di quel che le disse ormai 9 anni fa un navigato e potente grand commis di Stato che lavorava con il giovanissimo vicepresidente della Camera, insegnandogli tutto quel che c’era da sapere per cavarsela dentro ai palazzi del potere: «Attenti, il ragazzo è davvero molto ambizioso e anteporrà la sua carriera a tutto», era stato il giudizio recapitato all’allora presidente dei deputati M5S. «Ai tempi credetti fosse un modo da vecchia Repubblica di giudicarlo e non ci feci troppo caso – racconta oggi Lombardi – .E invece, aveva visto giusto».

Vista dalla parte dei fedelissimi di Giuseppe Conte, ci sono solo due modi in cui questa storia può finire. Il primo è proprio questo, un processo pubblico on line per il quale l’ex premier sta già raccogliendo tutte le prove: gli incontri fatti per trattare la presidenza della Repubblica senza condividerli con gli altri, alcune informazioni passate alle agenzie di stampa, i tentativi di influenzare i parlamentari M5S quando Conte – molto prima che la partita entrasse nel vivo – aveva di fatto aperto all’idea che Draghi potesse andare al Quirinale. «Luigi ha chiamato tutti per dire che voleva trascinarci al voto, per questo Ettore Licheri non è stato eletto capogruppo a Palazzo Madama, per questo è cresciuta la sfiducia nel presidente del Movimento», racconta un senatore schierato con i vertici.

«Veniva alle cabine di regia sul Colle per poi usare quel che gli dicevamo contro di noi», si è sfogata in queste ore Paola Taverna con i parlamentari che le vanno a chiedere cosa stia succedendo. Perfino il presidente della Camera Roberto Fico – che insieme a Luigi Di Maio e Virginia Raggi fa parte del comitato di garanzia del Movimento – sarebbe stato vittima di colpi sotto la cintura. Ad esempio, quando è stato rivelato che aveva preso parte anche lui a una cabina di regia, nonostante il suo ruolo istituzionale.

Non è più il tempo in cui Fico e Di Maio erano allineati per una causa comune, come quando nacque il governo Draghi o quando intervennero insieme per placare Grillo e far sì che Conte potesse portare a termine il rinnovamento del M5S. Lo schema è cambiato, eppure non è detto stia in piedi. Perché se è vero che Fico ritiene Conte una persona leale e non è in linea con l’attacco di queste ore, è anche vero che il richiamo alle armi di Di Battista è quanto di più lontano dal presidente della Camera. «No Giuseppe, io non mi fido di Letta», ha scritto ieri l’ex deputato sotto al post in cui Conte metteva la sua intervista al Fatto. Resta sempre contro tutto e tutti, Di Battista. E non è un caso che a pranzo con lui nelle ultime settimane sia andato Riccardo Fraccaro, chiaramente nostalgico del governo giallo-verde e sempre alla ricerca di un asse con la Lega. Era arrabbiato con Fraccaro, Conte, per aver visto Salvini a sua insaputa e avergli offerto voti per Giulio Tremonti.

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