La ripartenza di Draghi, missione Recovery

Ilario Lombardo

È andata com’era prevedibile. Con gli sguardi imbarazzati dei ministri che cercano un punto di appoggio nella sala del consiglio, consapevoli che nulla potrà essere come prima. Nessuna scena epica, rappresaglia o resa dei conti tra il premier che sognava di diventare presidente della Repubblica e i ministri che hanno lavorato per impedirglielo. Solo un’ordinaria seduta di Cdm, imbevuta di nervosismo per le incertezze della ripartenza, dopo una settimana di liti sul Quirinale.

Mario Draghi arriva e fa un giro del tavolo, per stringere a tutti, uno dopo l’altro, la mano. Un saluto che può essere interpretato in mille modi. Un messaggio di tregua, un avvertimento, il gesto istituzionale di chi ha capito il senso della contesa politica e non vuole lasciare che ferite e fraintendimenti guastino il lavoro del governo. Poi, il premier si siede e fa un breve discorso introduttivo. L’omaggio a Sergio Mattarella, il capo dello Stato rieletto, i ringraziamenti che fanno scattare il lungo applauso dei ministri; la frase che salda l’asse tra il presidente della Repubblica e il presidente del Consiglio: «Le priorità espresse – la lotta alla pandemia e la ripresa della vita economica e sociale del Paese – sono le stesse di questo governo». Draghi si gode la soddisfazione dei dati sulla crescita, del Pil schizzato al 6, 5%, superiore alla media europea, e rivendica le «misure messe in campo e la campagna di vaccinazione». Sono tutte parti di una premessa. Perché il cuore dell’introduzione è un altro. È il Piano nazionale di ripresa e di resilienza. La vera sfida del governo che detterà i tempi dell’agenda dei prossimi mesi. Per domani, quando riunirà un nuovo Cdm, Draghi chiede ai ministri «di indicare lo stato di attuazione degli investimenti e delle riforme di competenza». L’erogazione della seconda rata, spiega l’ex banchiere, scade il 30 giugno. Vale 24,1 miliardi di contributi finanziari e di prestiti. Ci sono ancora 45 traguardi e obiettivi da raggiungere. Per fare in fretta, ogni ministro dovrà segnalare «l’eventuale necessità di interventi normativi e correttivi» che possono facilitare il percorso.

«La puntuale ricognizione» dei singoli obiettivi, che sarà eseguita domani assieme al responsabile dell’attuazione del Pnrr il sottosegretario Roberto Garofoli, serve a Draghi come momento solenne per eliminare ogni possibile alibi sui ritardi. Vanno completate le riforme (della giustizia, della Pubblica amministrazione, della concorrenza e così via) e assicurata la sostenibilità e l’efficacia dei progetti di messa a terra delle risorse del Recovery fund. Dopo il 30 giugno ci sono altre due scadenze: il 31 dicembre 2022, per 21,8 miliardi, e il 30 giugno 2023, per 18,4 miliardi. Si tratta dei due semestri più caldi, perché porteranno al voto e andranno oltre, quando è presumibile che si starà formando o sarà definito il prossimo governo.

Per Draghi è essenziale non lasciare che il Pnrr finisca impantanato in liti elettorali. La parentesi del Quirinale non è stata fortunata per le ambizioni del premier, ma ha lasciato macerie soprattutto nei partiti che condividono senza troppo entusiasmo la larghissima coalizione di maggioranza.

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