Draghi nelle mani dei partiti: l’ultima speranza per la scalata al Quirinale è Letta

Ilario Lombardo

ROMA. Ora Mario Draghi è davvero nelle mani dei partiti. Un rompicapo, quello in cui si è infilata l’inedita candidatura del presidente del Consiglio, che non è risolvibile in qualche ora. E lo spiega bene il clima che si respira attorno a lui a Palazzo Chigi. Lo strazio dell’attesa si mescola alla consapevolezza che esistono determinati passaggi da consumare prima di capire se sia davvero finita o se, al contrario, il nome di Draghi spunterà al momento giusto, domani, forse dopodomani, o ancora più avanti.

Molto dipenderà dal vertice comune tra i leader del centrodestra e i giallorossi. Matteo Salvini non ha ancora dato una risposta ufficiale ad Enrico Letta. Era stato il segretario del Pd a preannunciare al presidente del Consiglio, al telefono, che si sarebbe fatto promotore della proposta di far sedere allo stesso tavolo Salvini, Giuseppe Conte del M5S, Antonio Tajani di Forza Italia. Un appuntamento che in qualche modo Draghi si era augurato avvenisse presto. Adesso la speranza dell’ex banchiere è che i leader si chiudano in una stanza e buttino via la chiave fino a quando non troveranno una soluzione per uscire dal pantano parlamentare. Proprio per questo oggi sarà un giorno importante per il capo del governo: perché dall’esito dei colloqui tra i leader si capirà quanto la strada verso il Colle sia agevole. Oppure, se la frana dei veti sia impossibile da sgomberare.

La sponda di Letta è essenziale per Draghi. Come lo è tenere in vita un dialogo con Matteo Salvini. Ha richiamato anche lui ieri, il premier, in una giornata passata molto al telefono. In fondo, a Palazzo Chigi il leader leghista non è quasi mai citato come l’oppositore più duro alla prospettiva di un trasloco del premier al Colle. È stato invece notato un irrigidimento in Conte. I toni, duri, di ieri, e quel riferimento al «timoniere» che non può lasciare la nave hanno aperto grandi interrogativi sul M5S. Gli stessi che agitano Draghi su cosa voglia fare Silvio Berlusconi, ancora ricoverato al San Raffaele di Milano. Da Palazzo Chigi avrebbero provato a telefonargli in ospedale, ma senza successo. Al momento ci sarebbero solo contatti tra i collaboratori, anche per sondare quali siano i veri motivi dello sbarramento azzurro alla candidatura al Quirinale del premier.

A questo punto, a Draghi sembra chiaro che solo un patto tra Pd e Lega possa riaprire una trattativa vera sul governo, la vera posta in palio che sta dietro le tante manovre che complicano la partita del Colle. I margini si stanno stringendo. E più i giorni passano, più la fotografia dell’Italia risulta ammaccata. È l’altro grande timore di Draghi. Il motivo per il quale lo hanno sentito pronunciare: «L’importante è che facciano presto». Presto, perché si attendono mesi duri, e se un governo andrà rifondato la crisi non potrà trascinarsi troppo a lungo. Se è vero che fonti vicine al premier hanno assicurato a Fratelli d’Italia che la Commissione europea avrebbe pronta con una deroga per permettere all’Italia di far slittare, ma di poco, le scadenze sul piano nazionale di ripresa, è anche vero che ieri il Fondo monetario internazionale ha tagliato le stime di crescita dell’Italia e Bruxelles ha manifestato apertamente una preoccupazione per lo stallo istituzionale. Due fatti che non sono passati inosservati ai vertici del governo e che per Draghi sono segnali che non vanno sottovalutati.

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