Covid, quanto costa curare un No Vax

Alessandro Mondo

TORINO. Da tre anticorpi monoclonali a uno. L’impatto di Omicron è anche questo: la brusca riduzione dell’arsenale farmacologico disponibile per curare in fase precoce, ovvero nei primi giorni di insorgenza dei sintomi, i pazienti positivi più a rischio. Se poi il Sotrovimab, il solo monoclonale oggi veramente efficace contro la variante in questione, arriva con il contagocce, si comprendono le difficoltà in cui versano anche gli ospedali torinesi, dove monoclonali e antivirali vengono somministrati in base al profilo di rischio dei malati.

«Usiamo molte risorse per i non vaccinati, completamente esposti al virus – conferma il dottor Sergio Livigni, coordinatore area sanitaria ospedaliera del Dirmei e direttore del dipartimento Dea Asl Città di Torino -: monoclonali, antivirali, antinfiammatori. Va da sé che dobbiamo trattare tutti, senza eccezioni».

Già, ma quanto costa il ricovero in rianimazione di un non immunizzato? Circa 4 mila euro al giorno». Cifra variabile in base a una sommatoria di fattori: «Se si tratta di intubarlo, o di ricorrere alla Ecmo, la circolazione extracorporea, i costi lievitano in misura sensibile». E per i vaccinati? «Il decorso è più breve e benigno, rari i ricoveri in terapia intensiva». Dei 142 ricoverati nelle terapie intensive piemontesi oltre il 70%, dunque più di 100 – è senza vaccino. E dunque il loro costo si aggira intorno ai 450 mila euro al giorno.

Il ricorso agli antivirali

Un virus, due problemi, tra i molti: una variante ipercontagiosa e sfuggente, che mette alle corde gli attuali vaccini e svicola tra i farmaci; il rapporto dei ricoveri tra vaccinati e non vaccinati, fortemente sbilanciato sui secondi. Qualche numero, per rendere l’idea: dei 60 pazienti attualmente ricoverati all’Amedeo di Savoia, 40 non sono vaccinati; al Giovanni Bosco, altro grande ospedale di Torino, i non immunizzati cubano il 50% dei ricoveri nei reparti ordinari e l’80% in rianimazione.

Da qui i problemi, quotidiani, con cui si scontrano i medici. «Il Sotrovimab ha grossi limiti quantitativi – spiega il professor Giovanni Di Perri, primario malattie infettive all’Amedeo di Savoia -. In questi giorni dovrebbero arrivare 150 fiale». Per l’Amedeo? «Macché, per tutto il Piemonte. Finora ne avevamo ricevute 29, sempre a livello regionale, sono andate via con il pane». E gli altri monoclonali già disponibili? «Casirimuvab e Imdevimab si usano ancora ma proteggono prevalentemente contro la Delta e le varianti che l’hanno preceduta».

Come se ne esce? Ricorrendo agli antivirali, che alla pari dei monoclonali non hanno valore preventivo e vanno somministrati entro pochi giorni dall’insorgenza dei sintomi in pazienti a rischio di evoluzione grave della malattia: il Remdesivir, efficace all’80% nell’evitare le ospedalizzazioni, cioè i ricoveri, mentre il Molnupiravir si ferma al 30-50%. «La prima indicazione è sempre il Sotrovimab, le seconda è il Remdesivir, per i profili a basso-medio rischio prescriviamo il Molnupiravir», precisa Di Perri. Va da sé che i non vaccinati rientrano nella casistica ad alto rischio. Dopodiché: «Noi dobbiamo curare tutti. Un altro conto è sensibilizzare sull’importanza di vaccinarsi». Al riguardo, i medici non hanno dubbi. «La vera discriminazione è legata alla riduzione delle prestazioni sanitarie, causa l’aumento dei ricoveri Covid, per i pazienti puliti, cioè No Covid – commenta Livigni -. È la cosa che mi irrita maggiormente, per questo sono favorevole all’obbligo vaccinale, senza distinzioni di età».

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