I leader si parlano, ma non si fidano l’uno dell’altro. Il centrosinistra spera nel grande bluff

Annalisa Cuzzocrea

«Non si è mai vista una candidatura alla presidenza della Repubblica fatta prima di essere certi di avere i numeri», dice Giuseppe Conte con davanti il dispaccio di agenzia con la nota del centrodestra – unito – a sostegno di Silvio Berlusconi. Il presidente del Movimento 5 stelle non nasconde la meraviglia. «Ma non escludo che stiano giocando una partita tattica – spiega collegato con i suoi collaboratori – perché i numeri non ci sono e questo potrebbe essere solo il modo per poi rendere digeribile un altro nome di centrodestra». Pensano a Franco Frattini, appena diventato presidente del Consiglio di Stato, ex ministro degli Esteri di Berlusconi, ma autore della legge sul conflitto di interessi.

È il sospetto a muovere tutti gli attori in gioco. I leader si parlano, ma non si fidano l’uno dell’altro. I 5 stelle – ad esempio – temono che il segretario Pd, che ufficialmente cerca con loro altri nomi, stia in fondo lavorando per il presidente del Consiglio Mario Draghi. I dem hanno paura che il Movimento non sia in grado di tenere una posizione univoca, una volta decisa la strategia, balcanizzato com’è e diviso tra contiani e dimaiani. Quanto al segretario leghista, Letta e Conte ci parlano, ma nessuno dei due ha capito dove voglia davvero andare a parare.

Quel che è certo, rimarca il presidente M5S, «è che se vanno fino in fondo su Berlusconi, sia Salvini che Meloni si assumono una grandissima responsabilità davanti al Paese. Perché c’è il rischio di spaccarlo e di far precipitare tutto».

Al Nazareno sono altrettanto preoccupati, benché regni – di fondo – una sorta di incredulità. «Ho l’impressione che stiamo vedendo il teaser e che il film non sia ancora cominciato», dice Enrico Letta. Che darà la sua risposta ufficiale alla candidatura di Berlusconi stamattina alle 10 alla direzione Pd, allargata in questo caso ai gruppi parlamentari. Sarà in streaming per tutto il tempo, interventi successivi compresi. Una prova di trasparenza necessaria alla compattezza che dovrà seguire.

Confesserà la sua delusione, il segretario dem, perché la mossa del centrodestra «impedisce di fare un passo avanti su un nome condiviso». E quindi, per quanto si possa non crederci fino in fondo, ha l’effetto di fermare il gioco. Oltre che di compattare il campo avversario rendendo più difficili le operazioni tentate finora. Sarebbe insomma un’occasione di dialogo sprecata. Che prelude, comunque vada, a una prova di forza. Ben lontana dallo spirito di collaborazione repubblicano evocato nelle ultime ore.

La decisione di tutti è comunque quella di non rispondere alzando i toni: Pd e 5 stelle cercano di tenere i nervi saldi. Con i secondi attenti a far passare un messaggio, anche in chiave interna: come sta dicendo ovunque il responsabile economico Stefano Buffagni, Silvio Berlusconi che sale al Quirinale equivarrebbe a elezioni anticipate subito. In un battito di ciglia.

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