I tanti no per Draghi al Colle, così la corsa del premier verso il Quirinale s’è frenata

Il fondatore di Azione Carlo Calenda chiede a Draghi di rimanere dov’è perché «è l’unico – dice -in grado di spendere i soldi del Pnrr». Matteo Renzi attende, mentre la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni è forse l’unica ad avere espresso sostegno all’ipotesi del trasloco del premier da Palazzo Chigi al Colle. Lo ha fatto snobbando le ambizioni di Berlusconi, per un calcolo preciso. Draghi al governo rappresenta una minaccia per i sovranisti, se nel Pd e tra i centristi di Coraggio Italia, Italia Viva e Azione non fanno mistero della possibilità che l’ex banchiere possa diventare il punto di incontro, anche nella prossima legislatura, di una coalizione europeista.

Per la stessa logica politica uno penserebbe che anche Matteo Salvini sostenga di corsa la candidatura di Draghi. E invece non è così. I primi a rimanerne stupiti sono i leghisti, a partire da Giancarlo Giorgetti, grande sponsor del premier al Colle. Secondo chi in queste ore sta lavorando fianco a fianco con Salvini sulla strategia, al di là della lealtà verso Berlusconi, Salvini è realmente intenzionato a cambiare il paradigma politico italiano. I contatti con Conte e altri esponenti del M5S sono quasi quotidiani: eleggendo un presidente proveniente dal centrodestra (Letizia Moratti e Marcello Pera sono i principali nomi che ha fatto), il leghista è convinto di «liberare le istituzioni dall’egemonia della sinistra», legittimando la propria leadership. C’è chi gli dice che potrebbe farlo comunque trasformandosi nel king maker di Draghi al Colle e lui fa in modo di non escluderlo, evitando di sfilarsi dall’ipotesi di un governo che sopravviva al trasloco del premier. Ma ha bisogno che maturino i tempi, che Berlusconi si faccia da parte e che magari Draghi, spiega un ex sottosegretario del Carroccio, gli lanci un segnale, invece di sottrarsi al confronto con i partiti. 

LA STAMPA

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