Draghi, il Quirinale e gli alleati europei da rassicurare sulla continuità della linea politica

di Francesco Verderami

Il futuro del premier: il suo silenzio sta suscitando un certo nervosismo in Parlamento

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Inseguito ogni giorno dalla stessa domanda, Luigi Di Maio non si aspettava che a porgliela sarebbe stata anche la neo ministra degli Esteri tedesca. Nemmeno il tempo delle presentazioni e Annalena Baerbock è andata dritta al punto: «Mario Draghi resta, vero»? Certo non deve esser stato semplice per il titolare della Farnesina trovare una risposta esaustiva e al tempo stesso elusiva. Ma tanto basta per individuare quello che — secondo un autorevole esponente del governo (italiano) — rappresenta il maggiore scoglio per il premier sulla rotta verso il Quirinale: «Più che garantire i parlamentari sulla durata della legislatura, deve garantire i partner occidentali e i mercati che dopo di lui a palazzo Chigi il piano degli investimenti sul Pnrr sarà portato avanti, che i progetti verranno sviluppati come da programma, che la linea politica sarà in continuità con il suo gabinetto».

In questo senso l’opera di persuasione con le cancellerie è stata già avviata, insieme a una spiegazione dei complicati meccanismi istituzionali che assegnano funzioni non secondarie al capo dello Stato. E che il Financial Times ieri ha dato mostra di aver compreso bene, visto che ha definito l’eventuale trasferimento di Draghi al Colle «la scelta imperfetta migliore». L’ha scritto Bill Emmott che è l’ex direttore dell’ Economist, il settimanale che appena la scorsa settimana aveva chiesto a Draghi di rimanere al suo posto, elogiandolo come «premier competente». Perciò non deve essere stata casuale la risposta — apparentemente lunare — fornita dal presidente del Consiglio a una domanda sul patto di Stabilità: «Non sono molto competente»…

Ma questi messaggi cifrati non bastano a risolvere il rebus Quirinale. Perché a gennaio a votare saranno i grandi elettori ed è a loro e ai loro partiti che Draghi deve una risposta. Il suo silenzio sta suscitando un certo nervosismo in Parlamento, dove Renzi — che si è dimostrato il maggior sostenitore del premier — si appresta a criticare nell’Aula del Senato il ritardo del governo sulla campagna vaccinale e sulla legge di Stabilità: «Sulla Finanziaria — ha commentato con un esponente di Iv — si comportano come Giuseppe Conte l’anno scorso. Non capisco. Sono troppo concentrati su altro». Ed è facile intuire a cosa si riferisse.

D’altronde tutta l’attenzione del Palazzo è riversata sulla corsa al Colle. Che sta per partire. Giovedì il vertice del centrodestra dovrà dare una indicazione chiara sulla candidatura di Silvio Berlusconi. Il Cavaliere è determinato a scendere in campo, certo di avere la possibilità di vincere. Ha convinto persino i suoi amici di una vita, dopo una tirata delle sue: «Mi avevate detto che ero pazzo quando ho puntato sulla televisione. Mi avevate detto che ero pazzo a buttare i soldi sul Milan. Mi avevate detto che ero pazzo a fondare un partito. Anche ora volete prendermi per pazzo»? In realtà temono che venga preso in giro, pugnalato nel segreto dell’urna da amici e alleati. Non c’è controprova se non il voto. E lui al voto dice di volerci arrivare, evidenziando una volta per tutte che il centrodestra può avere un solo candidato di centrodestra: «Cioè io che sono il fondatore del centrodestra». Raccontano che Giancarlo Giorgetti gli abbia fatto avere un messaggio, in segno di lealtà e di correttezza, siccome il ministro leghista ritiene che «anche per il suo bene, Silvio dovrebbe puntare su Draghi».

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