Donne per il Quirinale

Insieme a quello di Bonino, tornano in questi giorni i nomi di due donne che il Partito democratico ha lasciato fuori dal Parlamento dopo molte legislature: Rosy Bindi e Anna Finocchiaro. La prima ha cominciato a fare politica nell’Azione Cattolica e nella Dc. A 29 anni, nel giorno del suo compleanno, era con Vittorio Bachelet sulle scale della Sapienza di Roma quando la brigatista Anna Laura Braghetti puntò una pistola alla schiena dell’allora presidente del Csm, e lo uccise. È stata più volte ministra della Salute, ha contribuito a fondare il Pd. Ha detto, rivolta a Silvio Berlusconi, una frase forse troppo dimenticata: «Non sono una donna a sua disposizione», per la quale è stata ed è rimasta a lungo invisa al centrodestra. Il nome di Anna Finocchiaro gira – per paradosso – più nella galassia dei 5 stelle che in quella del Pd. «I nostri senatori della prima legislatura raccontano sempre di averci lavorato bene», racconta un ministro della pattuglia contiana. «Aveva carisma, dialogava con tutti, ci ha sempre rispettati». Per anni nell’orbita di Massimo D’Alema, poi più autonoma, si sarebbe – secondo i dem di oggi – sottratta a una condizione ancillare da cui altre non si sono invece mai staccate. Due volte ministra, da presidente della commissione Affari Costituzionali ha aiutato il cammino della riforma Boschi nonostante fossero stati proprio Renzi e i suoi a sferrarle nel tempo gli attacchi più duri. Guardando sempre al Pd e a Palazzo Madama, un altro nome che torna è quello di Roberta Pinotti: più giovane, ancora in Parlamento, è stata – come Sergio Mattarella – ministra della Difesa.

A destra, dove per il Quirinale ci sono più voti e di conseguenza più appetiti, si racconta invece di un lavorio costante: da parte della presidente del Senato Maria Elisabetta Casellati, protagonista pochi giorni fa di una sontuosa cerimonia nella giornata contro la violenza sulle donne. Dell’ex sindaca di Milano, ora vicepresidente della Lombardia, Letizia Moratti. Più al centro, torna il nome dell’ex ministra della Giustizia Paola Severino. Soprattutto, salgono le quotazioni dell’attuale Guardasigilli Marta Cartabia: il suo recente viaggio negli Stati Uniti è stato visto come una manovra di accreditamento (se vale per Giancarlo Giorgetti, perché non per lei?). Tra le ministre c’è anche quella dell’Interno Luciana Lamorgese, che negli ultimi mesi ha fatto uscite e interventi più politici. Mentre ci sono outsider come la costituzionalista Lorenza Carlassare tirate in ballo da chi è ormai fuori dal Parlamento, come Alessandro Di Battista, ma può – almeno a sentire alcuni deputati del gruppo Misto – muovere qualche truppa.

Infine, non mancano – neanche tra le donne – le cosiddette “riserve della Repubblica”. La più nominata, stimata da un fronte assolutamente trasversale (oltre che dall’attuale premier) è Elisabetta Belloni: già alla direzione generale della Farnesina, ora a capo dei servizi segreti, non è solo una carta tenuta coperta per la via del Colle. Racconta uno dei molti giocatori sullo scacchiere-Quirinale: «Se davvero Draghi vuole diventare presidente, nessuno sarà in grado di fermarlo. A quel punto, bisognerebbe assicurare un nuovo governo e bisognerebbe dargli un’impronta di novità, mettendo da parte l’ipotesi grigia del ministro dell’Economia Daniele Franco. Chi meglio di una donna?». O meglio, tirando fuori nomi e cognomi, chi meglio di Elisabetta Belloni? Perché è vero, come dice Lidia Ravera, che «una donna presidente non rispecchia la situazione attuale della politica, il club maschile per eccellenza». Ed è vero che la politica ha spesso «escluso le donne o le ha scelte per cooptazione, privilegiando quelle che accettavano le regole del gioco». È anche vero, però, che prima o poi, le regole del gioco vanno cambiate. —

LA STAMPA

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