Orlando: “Un patto con i sindacati sulle pensioni, trattiamo anche sul salario minimo”

C’è ancora molta vaghezza sulla riforma delle politiche attive, il vulnus forse più profondo del nostro sistema dove chi cerca lavoro non sa a chi rivolgersi. E chi lo offre spesso dice di non trovare professionalità adeguate.
«Abbiamo già stanziato le risorse. Il vero punto interrogativo è la capacità delle Regioni di spenderle in tempo utile, avendo come precedente non brillante quel che è accaduto per i centri dell’impiego quando fu varato il reddito di cittadinanza. Centri che saranno potenziati, ma ai quali non andranno i 4 miliardi come è stato detto erroneamente. Adesso i fondi serviranno a finanziare percorsi per i disoccupati e per i lavoratori, sulla base di progetti formativi che saranno definiti dalle imprese e dai soggetti della formazione e veicolati sia dai centri per l’impiego che da agenzie private».

L’ex ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha più volte dichiarato di aver messo a disposizione delle Regioni un miliardo e mezzo per i centri per l’impiego e di non sapere dove siano finiti. Come si fa se le Regioni non fanno abbastanza?
«Sulle risorse del Pnrr c’è la possibilità di intervenire con poteri sostitutivi. Non è mai successo in questo campo, ma è una carta che se non viene rispettata la tabella di marcia può essere utilizzata. Oltre a questo credo ci possano essere strumenti di monitoraggio e di valutazione degli obiettivi intermedi che possono scongiurare il rischio».

Pensa ancora – nonostante gli attacchi del centrodestra e gli abusi scoperti nelle ultime settimane – che il reddito di cittadinanza vada difeso?
«I sussidi servono per intervenire quando il lavoro non c’è o quando una persona non può lavorare, non per creare lavoro. Questo misunderstanding ha accompagnato la nascita di questa misura che ha effettivamente sostenuto persone contro la povertà. La riforma delle politiche attive è un’altra cosa e deve valere per tutti, non solo per i percettori di reddito. Quella dei navigator era una scorciatoia figlia di quell’equivoco. Quanto agli abusi, li stiamo scoprendo grazie a una giusta intensificazione dei controlli che la manovra rafforza, ma nessuno ha mai chiesto di abolire altri istituti perché qualcuno se ne approfittava. Sapendo che la madre di tutte le distorsioni è l’evasione fiscale».

Dicono Salvini, Meloni, Renzi, ce il reddito di cittadinanza disincentiva il lavoro, soprattutto in alcune zone del Paese. E aumenta il nero. Non è così?
«Dietro questa accusa c’è un’ideologia per cui i poveri sono poveri per colpa loro e chi non trova lavoro non lo trova perché non lo cerca. Io non penso sia così. Credo che i poveri siano la conseguenza di un sistema ingiusto e che dobbiamo chiederci se davvero il massimo desiderabile possa essere uno stipendio di qualche centinaio di euro. O se sia accettabile che in questo Paese ci sia tanto nero».

E però una vera lotta al sommerso non è mai partita.
«È uno degli impegni assunti con il Pnrr. E stiamo lavorando per rendere più compatibile e conveniente il lavoro anche saltuario o precario rispetto alla percezione del reddito».

LA STAMPA

Perché tanta resistenza sul salario minimo, vista la giungla di contratti e di stipendi al ribasso?
«Sto seguendo la discussione a livello europeo e quella sui pericoli per la contrattazione collettiva è una remora che accomuna tutti i Paesi con una forte tradizione sindacale. Si teme che il salario minimo possa indebolire la contrattazione tra le parti sociali con un effetto di diminuzione potenziale dei salari in alcuni settori».

E lei cosa pensa?
«Credo ci siano le condizioni per tenere insieme contrattazione e salario minimo. Uno dei passaggi perché questo avvenga è lavorare sull’effettiva titolarità di chi fa le trattative. Quello che in questi anni è successo è un’esplosione di contratti pirata, fatti da sigle con pochissimi iscritti, ma che riescono a condizionare il mercato del lavoro».

Come si evita?

«Attraverso criteri minimi per l’individuazione della rappresentanza. La direttiva europea istituirà l’obbligo di salario minimo per i Paesi con meno del 70% di rappresentanza sindacale. Per gli altri, quindi anche per noi, si chiederanno criteri adeguati».

Mario Draghi deve continuare, come ha detto alla Stampa Mara Carfagna, o deve salire al Quirinale?
«Seguo rigidamente le consegne del mio partito: ne parleremo dopo il discorso di Capodanno del capo dello Stato».

Mentre voi prendete tempo il centrodestra, che è in vantaggio se si considerano tutti i grandi elettori, si organizza. Silvio Berlusconi potrebbe diventare presidente della Repubblica?
«In un Parlamento come questo, con un gruppo misto di 100 persone, qualunque scenario è possibile: è bene che il centrosinistra prenda tutte le precauzioni».

Quindi rimandare il discorso non ha molto senso.
«Arrivarci preparati non significa parlarne nelle interviste, ma coordinare le forze. Le prime votazioni saranno determinanti: non possiamo arrivarci in ordine sparso».

Non ci si può arrivare come si è arrivati sul ddl Zan. A proposito, Italia Viva è dentro o fuori il nuovo Ulivo disegnato dal segretario pd Enrico Letta?
«Io non metto nessuno dentro o fuori».

Quindi è fuori.
«Faccio un altro discorso: non possiamo ricostruire il bipolarismo, dopo l’esplosione del populismo, in base a quello che c’era prima. Serve un campo largo in grado di drenare anche spinte che erano andate verso il populismo. Chi vuole l’arrocco, chi prova a marginalizzare, condanna il sistema invece di rigenerarlo. Bisogna pensare a quel che Benedetto Croce diceva del fascismo: una volta passata l’onda, non può tornare tutto come prima. Bisogna capire le cause profonde, quel che va cambiato nel nostro assetto di inclusione sociale. Partire dall’idea che non è il populismo ad aver messo in crisi la democrazia liberale, ma è quest’ultima che è entrata in crisi di fronte ai cambiamenti globali, alla crescita delle diseguaglianze generando il populismo. Chi ci sta a ricostruire questo campo è benvenuto, ma non parlerei di nuovo Ulivo: una parola che guarda nello specchietto retrovisore della storia».

Mi sembra voglia arrivare alla necessità di superarlo, il bipolarismo.
«Sono convinto che andrebbe costruita un’altra ipotesi di legge elettorale. Non ho mai nascosto che la ricomposizione di un campo debba avvenire per scelta, non per necessità, perché i campi ricostruiti per necessità portano instabilità e rischiano di rendere subalterni i riformisti all’interno dei poli. Anche qui, se guardiamo all’Europa, ci rendiamo conto che i sistemi maggioritari sono quelli che hanno retto peggio all’avvento del populismo». 

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