Roberto Gualtieri sindaco di Roma: «Mi tremano le vene e i polsi». Il trionfo del decisionista timido

Insomma, nel giorno del trionfo va in scena una lotta interiore che vedremo spesso nei prossimi anni. «Sono un secchione orgoglioso», ha detto una volta il nostro, sembrando così ancora appena strappato alla biblioteca dell’Istituto Gramsci. «Per capirlo, devi vederlo suonare la chitarra. Non cerca l’applauso, non alza gli occhi al pubblico, non sbaglia un accordo», flautano i suoi, pezzo caldo Bella Ciao, che in serata si replica a mille voci a Santi Apostoli, nella festa programmata con anticipo sulle urne («sì, ci aspettavamo la vittoria», ammette lui). Sgobbone da media del trenta diventato docente di Storia, figgiccino del liceo Visconti (sposato con la ragazza di allora) al quale Zingaretti, ex ragazzo della Montagnola, traduceva le periferie da fratello maggiore («Nicola mi accompagnava nei caseggiati popolari a fare campagna elettorale»): in questo maniaco della preparazione e dei dossier, i romani hanno cercato un po’ di rassicurazione, stufi di marziani e gladiatori. Pochi di loro, in realtà. Perché sei elettori su dieci hanno disertato, con punte drammatiche nel Sesto Municipio, quello delle Torri (Torre Maura, Tor Bella Monaca, Tor Sapienza) e delle rivolte sociali. Pensando a loro Gualtieri promette «la bella politica», sostegno a chi non ce la fa. Poi, draghianamente, offre alle forze economiche e intellettuali «un grande patto per lo sviluppo e il rilancio di Roma». Attorno ha una metropoli ferma, senza sogni se non quello di liberarsi dell’immondizia tiranna. I soldi ci saranno: quelli del Pnrr, del Giubileo 2025 e, se la spuntiamo come sembra probabile, quelli di Expo 2030. Ci sarà, anche, da tenere a bada il temuto Pd capitolino di correnti e signori delle tessere, «un partito dannoso e clientelare», si spinse a diagnosticare Fabrizio Barca. «Il Pd è guarito da allora», ha giurato Gualtieri girando per mercatini con la responsabile della campagna, Beatrice Lorenzin, e dando volantini garbatamente («permette?»).

«Roberto è un decisionista, ascolta tutti ma poi decide da solo», assicura lei che, venendo da una giovinezza berlusconiana, riconosce a distanza i maschi Alfa, anche se ben mascherati come in questo caso. «Pessimo candidato, potrebbe essere un ottimo sindaco», scommettono in molti. Maniaco del controllo (auguri col pachiderma municipale) e dell’autocontrollo («appreso da lupetto degli scout»), lui dice che stare tra la gente è la sua rigenerazione umana». Forse Roma salverà il chitarrista timido sepolto nella grisaglia del burocrate. Poi, lui dovrebbe salvare lei: almeno nelle favole va così.

CORRIERE.IT

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