Roberto Gualtieri sindaco di Roma: «Mi tremano le vene e i polsi». Il trionfo del decisionista timido

di Goffredo Buccini

Né acrobati né mangiatori di fuoco: il circo romano ha spento le luci, ha vinto l’Uomo Senza Eccentricità. Tanto normale da sembrare talvolta invisibile, Roberto Gualtieri: con quella emotività così «in differita» che ai comizi lo costringeva a dire «mi commuovo» perché la platea se ne accorgesse. Eppure. Eppure le quattro ore che lo portano dagli exit poll della vittoria al bagno di folla di piazza Santi Apostoli possono contare lustri. «Mi tremano le vene e i polsi ma rilanceremo Roma», dice, quasi corrucciato, alle tre del pomeriggio, quando il successo è già chiaro e parte il boato dei suoi assieme al brano-manifesto I nostri an ni («ed un giorno normale/era sempre un giorno speciale»). Del resto la città è talmente devastata che solo un pazzo la prenderebbe a ridere. Lui scende, scavandosi in volto un sorriso stento, al piano terra del capannone di via Portonaccio, Roma Est (il quadrante dei dannati ma anche quello che più dovrebbe decollare fino al 2030), in questa ex discoteca scelta come quartier generale per buon augurio: perché stasera, dalle parti del Pd, si balla eccome.

Alle sette della sera, lo stesso uomo, ormai fatto sindaco, dopo avere arringato la folla (insomma, senza grandi slanci tribunizi, ma è il suo bello, no?), balza giù dal palco fino ad allora condiviso con lo stato maggiore dem strategicamente collocato attorno a lui: Letta a sinistra e Zingaretti a destra come bue e asinello, poi Bruno Astorre e Andrea Casu, il potentato capitolino, sul retro Bettini, nume elusivo. Gualtieri piomba in mezzo ai nuovi presidenti di municipio che con la loro vittoria gli hanno fatto corona e balla una specie di tarantella selvaggia che deve valergli quanto una seduta di liberatoria psicanalisi. Fa anche due giri di piazza, come dopo la vittoria della Champions, addirittura con selfie. «Ha appena imparato a farseli», dicono con tenerezza i suoi, accaldati e felici: toccherà accelerare il programma, nella tempesta di flash, mentre gli dicono «alza la mano con la “v” di vittoria». Così, di botto visibile e persino stazzonato, è lui il centrosinistra che s’arrampica di nuovo nella Torre di Niccolò V a Palazzo Senatorio, sfrattandone gli imbarazzanti ricordi postfascisti e le inadeguatezze pentastellate (fischi e ululati quando il neosindaco ringrazia Virginia Raggi «per l’impegno», la piazza non perdona).

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