La farsa dolorosa del neofascismo

Massimo Cacciari

Nessuna reale potenza oggi ha il benché minimo interesse a sostenere prospettive analoghe. La “verità di fatto” è che i movimenti che si richiamano a quella tragedia sono farse, per quanto dolorose, che nulla politicamente potranno mai contare, e il cui unico risultato è e sarà quello di ridurre tutto al bianco-o-nero, di impedire ogni seria discussione sull’incredibile susseguirsi di emergenze in cui viviamo e sulla possibilità di affrontarle con spirito democratico. Se volessimo dirla tutta, che ancora esistano ghetti culturali in cui dei giovani si dicono “fascisti” dovrebbe anzitutto farci ragionare sulle straordinarie qualità del nostro sistema formativo e della nostra azione politica, sull’esemplare funzionamento delle nostre istituzioni. Ma altra “verità di fatto” è che risulta sempre assai più facile deprecare e accusare che auto-criticarsi e “riformarsi”.

Il professor Irti ha perciò del tutto ragione nel ritenere insensato il riferimento nel mio precedente articolo allo “Stato etico”, cosa serissima, di cui gli sciagurati all’assalto della Cgil non hanno la più pallida idea. A discolpa posso dire che lo intendevo in senso un po’ ironico come l’opposto di quel relativismo in materia di “gerarchia di valori” connaturato all’idea stessa di democrazia, eppure così arduo da definire e difendere. Qui sta il problema stesso dell’“essere o non essere” di un regime democratico: il suo relativismo non può essere assoluto, deve essere relativo anch’esso, se non altro per difendersi da chi ritiene di possedere “valori” e di voler giungere sulla loro gerarchia a tiranneggiare. D’altra parte, la democrazia, nel difendersi, trova un limite insuperabile, che è anche il suo vero, unico “valore”: mai può esercitare il proprio governo, e quindi anche la “violenza legittima” di cui deve disporre, sopra individui-massa, ma solo in rapporto a persone. Il termine persona è l’opposto di “individuo”. I medievali lo interpretavano come significasse “per se ad alium”. Ognuno esiste soltanto in rapporto all’altro, sodale con l’altro ed è chiamato a conferire a questa solidarietà il senso più ricco, più pieno. Ma sempre per sé, a partire dal sé, altrimenti tale relazione si trasforma in alienazione. Dunque, il governo si esercita su chi per sé, cosciente di sé, preparato e informato, può vedere nel nomos, nella legge, l’espressione, per quanto sempre relativa, della propria stessa libertà. Condizione-limite, si dirà. Ma questa e solo questa è la prospettiva in cui può muoversi un regime democratico, a questo orizzonte esso deve tendere in ogni suo atto se vuole difendere davvero se stesso.

È una “verità di fatto” che decenni di stati di emergenza variamente dichiarati vanno rendendo tale orizzonte sempre più lontano, quasi spettrale. Dobbiamo realisticamente riconoscerlo. Ma più difficile è tener salda quell’idea di democrazia, più diventa necessario. E, per carità, tranquilli: nessun fascismo sarà comunque nei nostri destini. Il pericolo che cresce quotidianamente è tutto un altro: che la persona scompaia fagocitata dalle paure, dalle avarizie, dalle invidie, dai risentimenti dell’individuo, in cerca affannosamente di chi lo rassicuri, lo protegga, lo consoli – quell’individuo che non riconosce nessuno oltre se stesso e che insieme esige forti pastori – che in nessuno confida se non in chi di volta in volta gli sembra potente abbastanza da servire al proprio individuale interesse.

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