Bandiere al canto di “Bella Ciao”, la Cgil si mobilita: quest’aggressione ci renderà più forti

Niccolò Carratelli

Quello che non ti aspetti sono le tracce di sangue. Gocce per terra, tra gli scaffali pieni di libri rovesciati e una stampante scassata, trascinata giù dalle scale. Macchie sulle pareti, strisce sul corrimano di marmo, vicino all’ingresso. «La polizia ci ha detto che probabilmente si sono feriti nella furia della devastazione, con i vetri e le schegge di legno», spiega uno dei dipendenti della Cgil che lavora al piano terra, il più danneggiato. A cominciare dalla portineria, da dove gli assalitori sono entrati: tapparella divelta, vetri della finestra rotti, infissi anneriti, fili strappati e monitor staccati dal muro. L’unica cosa ancora integra nella stanza è una foto incorniciata di Giuseppe Di Vittorio, padre del sindacato italiano, spettatore impotente della violenza di sabato pomeriggio. Non ha avuto la stessa fortuna il ritratto di Luciano Lama, attaccato sul muro esterno del palazzo e strappato via dai “no pass”. In fondo al corridoio, le sale occupate dallo staff della comunicazione: scrivanie ribaltate, mobili sfondati a calci, librerie tirate giù, poster strappati. «Poi sono saliti fino al quarto piano, sono entrati anche nell’ufficio del segretario, ma lì per fortuna non hanno fatto niente, forse non hanno avuto il tempo», spiega Nicoletta, dell’ufficio stampa, che improvvisa una visita guidata tra i locali vandalizzati. Tutti si fermano davanti a un quadro sfregiato, opera del 1973 del pittore romano Ennio Calabria, che lo ha donato al sindacato: un gruppo di lavoratori regge un paracadute rosso, ma al centro c’è uno squarcio di 30 centimetri. «Dicono che forse si riesce a riparare – dice un vecchio sindacalista con gli occhi lucidi – per fortuna gli altri erano più in alto». Gli altri sono un paio di dipinti di Renato Guttuso, appesi in posizione protetta e scampati alla devastazione. Dalle finestre si sente cantare «Bella Ciao», fuori c’è già un migliaio di persone, bandiere e magliette rosse: dipendenti, lavoratori iscritti alla Cgil, tanti cittadini comuni a bloccare il traffico su Corso d’Italia. «È la reazione della nostra comunità di fronte a uno sfregio intollerabile – dice Fabrizio Maramieri della Fiom di Roma – questa la sentiamo come casa nostra, è stata violata la nostra intimità, lo hanno fatto per trasmettere il loro disprezzo per quello che rappresentiamo».

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