Frejus, l’impresa del secolo: mai nessuno aveva osato bucare una montagna

Andrea Parodi

Quando nel pieno della Guerra Fredda gli americani decisero di portare l’uomo sulla Luna si trovarono di fronte a un’impresa titanica, mai provata prima, dovendo inventare praticamente tutto, dal razzo propulsore al modulo dell’allunaggio. Non furono i primi. Cento anni prima gli stessi problemi e gli stessi interrogativi se li posero i piemontesi quando decisero di intraprendere il progetto più ardito mai tentato prima dall’uomo: bucare le Alpi con un tunnel ferroviario che collegasse il Piemonte con la Savoia e quindi l’Italia con la Francia e l’Europa. Stava nascendo il traforo del Frejus, che proprio oggi festeggia 150 anni.

 «Il tunnel del Moncenisio, come veniva erroneamente chiamato inizialmente, perché avrebbe sostituito l’omonimo valico di montagna che da secoli permetteva il collegamento tra i due versanti, diventò davvero la sfida del secolo». Così lo storico Mauro Minola, autore del libro “Traforo e ferrovia del Frejus. La linea Torino–Modane”, edito da Susalibri e proposto in allegato in questi giorni in edicola al quotidiano La Stampa. Questa è la storia di un’epopea.

Valanghe, incidenti e slitte: quando andare in Francia era un’odissea
Prima del 1871 la tratta Torino–Parigi era coperta con un viaggio che durava non meno di 36 ore. Un treno portava a Susa. Da qui il trasbordo su una diligenza che collegava a Modane. Poi un secondo treno fino al lago di Bourget, attraversato a bordo di un battello fino all’altra riva, dove un terzo treno avrebbe condotto il viaggiatore a Parigi.
Il tratto alpino era tutt’altro che semplice. Pur esistendo una strada sterrata dall’inizio dell’Ottocento voluta e realizzata da Napoleone, il viaggio poteva dirsi tutto meno che confortevole e sicuro. La strada era pericolosa, in particolare d’inverno, tanto che esistevano punti di riparo ogni due chilometri. Tanti gli incidenti e le tragedie consumate nel tragitto tra i più pericolosi – ed anche tra i più frequentati – dell’arco alpino.
Il passaggio delle merci, inoltre, diventava fattibile unicamente con la bella stagione, tanto che per secoli le battaglie previste sul territorio italiano venivano programmate unicamente potendo spostare l’artiglieria e gli eserciti con la bella stagione e l’assenza di neve e ghiaccio.

Medail, l’uomo che voleva bucare la montagna
Il primo a ipotizzare la possibilità di bucare la montagna è stato l’impresario nativo di Bardonecchia Francesco Medail, al quale è dedicata la via principale del paese. Non ha ancora in mente un tunnel ferroviario, perché quando comincia con i suoi calcoli i tempi non sono ancora maturi per lo sviluppo delle strade ferrate. Siamo negli anni ’30 dell’Ottocento. Medail è un progettista di strade e ponti, quindi – sul modello del Buco di Viso in valle Po  (esistente dal ‘400 e considerato il primo tunnel della storia delle Alpi, lungo appena 100 metri) – ipotizza lo scavo di un traforo della lunghezza di cinque chilometri, da realizzare in una zona decisamente più alta in quota rispetto al tunnel poi realizzato nel 1871, dove quindi la montagna è molto meno spessa. Medail è stufo di faticare per portare le merci da una parte all’altra delle Alpi. Considera il passaggio della montagna troppo oneroso, e ipotizza così un metodo per abbreviare i tempi di percorrenza e renderli più sicuri. Per perfezionare la sua idea si fa aiutare tecnicamente da Ignazio Porro, topografo e Maggiore del Genio dell’Esercito Sabaudo.
Il loro progetto verrà inviato a Torino nel 1841 e sorprendentemente sarà preso in considerazione da re Carlo Alberto di Savoia. Nel 1844 Medail è chiamato a Torino per conferire con il ministro Luigi Des Ambrois de Nevache. Parte per la capitale ma durante una sosta a Susa a casa della sorella, muore improvvisamente. Una storia quasi da romanzo ottocentesco.
Nonostante il progetto di Medail non abbia mai riguardato il treno, e nonostante il traforo fino alla sua morte sia stato solo poco più di un’idea, ancora oggi Medail è considerato il più illustre tra i bardonecchiesi, nonchè il vero primo “padre” dell’opera ingegneristica più importante dell’Ottocento.

Cavour, le parole che ispirarono l’impresa
La morte di Medail e la Prima guerra d’Indipendenza sembrano allontanare e far abbandonare il progetto. Fino a quando, nel 1858, sale al governo il conte Camillo Benso conte di Cavour che fonda la sua politica di crescita del Regno di Sardegna su due pilastri: una rivoluzione in campo agricolo e uno sviluppo quasi maniacale sul trasporto ferroviario, portando in pochi anni i km di strada ferrata da 17 a ben 914. Cavour considerava il collegamento con la Lombardia di grande importanza, ma i due assi di collegamento principale nella sua visione politica ed economica diventano quelli tra Torino e Genova (per potenziare l’importanza del porto commerciale della città ligure) e – appunto – il traforo del Frejus, per collegare il Regno alla Francia e quindi all’Europa facendo così di Genova il principale porto del sud Europa, tagliando fuori Marsiglia.
E’ il 27 maggio 1857 quando Cavour porta alla Camera Subalpina, a Palazzo Carignano, la discussione e la votazione per impegnare il Regno di Sardegna a realizzare il traforo del Frejus con una spesa stimata in 42 milioni di lire (la spesa finale dei lavori ammonterà a 70 milioni di lire).
Il discorso con il quale convince i deputati è uno dei più celebri della storia risorgimentale e dello stesso statista:

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.