Sindaci, viaggio al termine della notte

Massimo Cacciari

La legge 25 marzo 1993 che istituiva l’elezione diretta dei sindaci, cui seguirono negli anni immediatamente successivi, soprattutto con il primo governo Prodi, nuove, importanti norme per il funzionamento degli Enti Locali, costituisce forse la sola “riforma”dotata di una propria logica nella miserevole storia delle nostre seconde e terze repubbliche. Essa reagiva, non saprei oggi dire quanto consapevolmente, alle cause che avevano condotto alla catastrofe di Tangentopoli, individuandole in una radicale crisi delle forme della rappresentanza politica. Non ci si poteva illudere di correggere semplicemente una crisi di tale portata con un’autoriforma per linee interne del sistema dei partiti.

Occorreva ripartire – si disse – dai territori, dalle città, dalle energie dei corpi intermedi, dell’associazionismo locale; occorreva che la rappresentanza politica fosse loro diretta espressione perché potesse ri-legittimarsi. La mobilitazione di forze culturali, economiche, sindacali intorno a questa generosa idea fu vastissima e alle amministrative di fine anno si presentarono candidati sindaci(quasi sempre anche con l’indicazione dei propri assessori) e liste “aperte” coerenti con essa, in una competizione capace di suscitare largo impegno e perfino entusiasmo. Oggi siamo al termine del lungo viaggio nella notte del fallimento di quella “riforma”. Le segreterie nazionali si spartiscono i candidati sindaci delle grandi città. Nessun programma è il frutto di una elaborazione davvero partecipata; dilagano vuoti slogan buoni da Bolzano a Caltanisetta. Trovare candidature davvero rappresentative dei propri territori è una caccia alla pietra filosofale. Che è accaduto?

Molto semplicemente che alla “riforma” ha fatto seguito un’accanita, compatta contro-riforma, tale da arrestarne ogni logico sviluppo, da intrappolarla nei suoi stessi limiti e infine da soffocarla. L’elezione diretta del sindaco comportava, infatti, l’affermazione della centralità dell’Autonomia locale nel nostro contesto istituzionale. Ma essa presupponeva due condizioni: la precisa definizione dei poteri dell’ente locale soprattutto in materia economico-finanziaria, da un lato, e la revisione complessiva, a livello istituzionale, dei rapporti tra Città, Regioni e poteri centrali, dall’altro. Allo straordinario aumento di responsabilità derivante dall’elezione diretta non ha fatto da contraccolpo soltanto una costante diminuzione dei trasferimenti dallo Stato all’ente locale – in una prospettiva di crescente responsabilizzazione di quest’ultimo ciò poteva anche comprendersi. Il legislatore ha sottratto alla responsabilità dell’ente locale la piena capacità di decisione su materie fondamentali che sono, direi “per natura”, di sua esclusiva competenza. E’ il caso clamoroso delle imposte sulla casa. Non esiste vera autonomia che non si regga su questo semplice principio: queste le funzioni di cui sono responsabile e queste le fonti da cui debbo trarre le risorse per finanziarle. Tale principio, tuttavia, mai avrebbe potuto realizzarsi al di fuori di una riforma complessiva del nostro ordinamento in senso federalistico. Negli ultimi anni è avvenuto esattamente l’opposto. La prospettiva che doveva inaugurarsi nel ’93 è stata massacrata ab imis fundamentis.

Rating 3.00 out of 5

Pages: 1 2


No Comments so far.

Leave a Reply

Marquee Powered By Know How Media.