Il derby al governo tra Salvini e i suoi nemici

Insomma, proviamo a ricapitolare questa storia in cui un’oretta di coprifuoco è diventata una specie di linea del Piave. Dopo aver spiegato che il provvedimento sulle aperture di pochi giorni fa era una sua grande vittoria, Salvini si astiene sulla vittoria, dando ordine – proprio così: ordine – di non votarlo in nome di quell’oretta in più cui simbolicamente ha ancorato il destino dei ristoratori. Un evidente segnale tutto politico all’esterno, perché il suo sbandierato successo non è stato percepito come tale da quelle inquiete categorie che hanno occupato la A1, o che si sono incatenate a Sarzana, il cui urlo di dolore ha le sembianze di voti alla Meloni che, avanti di questo passo, di qui a tre mesi rischia di scavalcare la Lega nei sondaggi. Al tempo stesso è un evidente segnale all’interno, a quella delegazione di governo leghista, considerata troppo arrendevole. L’uomo, si sa è sospettoso, teme trame, non si fida di Giorgetti, vede rosso su Zaia cui ha preferito il più malleabile Fedriga a capo della Conferenza Stato Regioni. E con una certa brutalità ha fatto capire non solo che comanda lui, ma che la parola degli altri non vale nulla, punto.

A proposito di conferenza Stato Regioni, dopo il coprifuoco, arriva come casus belli anche la scuola. Mai si era vista una convocazione ad horas per commentare, anzi per attaccare un decreto del governo, che non ribalta gli accordi presi ma cerca solo di aprire (non di chiudere) le scuole un po’ di più, per l’esattezza del dieci per cento in più. È evidente la politicizzazione dell’organismo, impressa proprio dal neo presidente Fedriga che, in verità ha trovato terreno fertile tra i governatori piuttosto inclini, per ragioni di consenso, a tenere chiuse le scuole preferendo aprire i ristoranti, perché l’apertura delle scuole è un rischio che fa perdere voti, mentre i voti dei ristoratori si perdono che sono chiusi.

La cronaca dell’attivismo di Salvini, tornato battagliero anche nella postura, loquace al punto da trasformare la sua giornata in una diretta facebook senza soluzione di continuità potrebbe proseguire con la richiesta di dimissioni di una sottosegretaria pentastellata, rea di un’intervista troppo provocatoria o citando una serie di dichiarazioni che neanche stesse all’opposizione, secondo quella dinamica già sperimentata (in modo catastrofico) nel Conte 1: il governo non come luogo per cercare la sintesi, in nome di una comune assunzione di responsabilità, ma come terreno di una campagna elettorale permanente in cui contano solo le proprie bandiere, mentre, quando non vengono piantate, l’alleato di governo diventa un avversario, si chiami Speranza o Orlando, da dare in pasto alla delusione rispetto alle aspettative suscitate.

Sgomberiamo il campo da un riflesso condizionato, sin dai tempi del Papeete. Salvini non vuole uscire, almeno per ora, dal governo, anche perché il voto non è nelle sue disponibilità. Sarebbe lapidato da quel blocco produttivo che ce lo ha spinto e non è disposto a perdere l’occasione della gestione del Recovery. Quindi semplicemente, andrà avanti così.

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