Alta fedeltà

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di   Massimo Gramellini

La morte di Claudio Coccoluto è stata la notizia più letta del giorno, ma la notizia più grande è stata la sua vita. Specie per chi, fino a ieri, aveva solo una vaga idea di chi fosse. Coccoluto era un disc jockey, forse il più bravo del mondo, certo uno dei più ricercati, da Londra a New York. Però non è stato il mestiere a rendere la sua storia così esemplare, quanto il suo modo di interpretarlo. Coccoluto ha iniziato a mettere dischi in vinile nel negozio di elettrodomestici del padre sul lungomare di Gaeta. Aveva tredici anni, e per i quarantasei successivi non ha fatto altro. Non esiste sirena mediatica che non lo abbia tentato, dalla radio alla televisione. Lui ha resistito a tutte per non correre il rischio di snaturarsi, ma principalmente per rispettare la sua vocazione. Gli artisti rispondono alle chiamate interiori, come le persone di fede. E lui a tredici anni, logorando puntine di giradischi nel negozio di famiglia, aveva capito — anzi, sentito — di essere nato per fare proprio quella cosa lì. Manipolare dischi con eleganza per assembrare corpi danzanti, esercizio oggi scellerato, benché apprezzatissimo fin dai tempi delle Baccanti.

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