Domenico Arcuri, dominus dell’emergenza e parafulmine: così è caduto il commissario che amava la ribalta

Ma il gioco, per Conte, è fatto. Rendendo Arcuri il dominus dell’emergenza, il premier ne fa anche il parafulmine per qualunque cosa debba andare storta nella gestione di uno sforzo immenso dell’intera macchina amministrativa. Lo scudo umano perfetto per il governo e per l’inquilino di Palazzo Chigi.

Del resto lo stesso Arcuri non sembra avvedersi del calice avvelenato che il premier gli sta porgendo. E vi attinge senza sosta. O forse è l’ambizione e la sicurezza nei propri mezzi che lo spingono ad accettare il patto faustiano con il presidente del Consiglio o a fingere di non vederne il carattere ambiguo. Le luci della ribalta, del resto, non gli dispiacciono e lui stesso finisce per alimentare l’impressione di avere poteri che, in realtà, non ha. In realtà Arcuri ha un lavoro importante, ma preciso: usare procedure straordinarie per comprare prodotti per conto dello Stato, e organizzarne la distribuzione. In molti però iniziano a pensare che sia lui a prendere le decisioni politiche su come gestire la pandemia. Dunque se qualche farmacista specula sui prezzi delle mascherine in primavera o se le scuole chiudono poco dopo aver riaperto in autunno, diventa colpa sua. Intanto Conte sfida la gravità nei sondaggi.

Certo, di errori specifici Arcuri ne commette eccome. Come hanno documentato Milena Gabanelli e Simona Ravizza in settembre fa comprare per cento milioni di euro mascherine a prezzi irrealistici da un’impresa a controllo cinese incorporata in Olanda, che non ha altri clienti se non la struttura commissariale di Roma. Una lista di aziende fornitrici di macchinari da terapia intensiva viene pubblicata con grande ritardo solo in novembre.

Ma nel complesso è difficile sostenere che la performance dell’Italia nel reperire i beni necessari all’emergenza sia peggiore rispetto al resto d’Europa. E l’equivoco contiano funziona, senza che Arcuri lo chiami per nome e lo sveli. Così se le scuole restano chiuse, in molti dicono che è colpa dei «banchi a rotelle» (che non ha deciso il commissario di comprare). Non — come è il caso in realtà — degli enti locali che rifiutano di affittare gli autobus privati per non farli entrare nel mercato delle imprese da loro controllate o per la resistenza dei sindacati della scuola nell’organizzare orari scaglionati delle classe. E se ancora in tanti restano oggi senza vaccino, diventa facile dire che è colpa delle «primule» (una costosa trovata di cui si sarebbe fatto facilmente a meno). Non — come è il caso in realtà — del solito consociativismo italiano che porta a distribuire le poche dosi disponibili fra ordini professionali, amici degli amici e varie categorie non esposte, mentre milioni di anziani aspettano ancora. Toccava al governo e alle regioni vigilare, ma non è stato fatto. Molto meglio una polemica sulle «primule».

Del resto è Arcuri che ha scelto di danzare al ritmo di Conte. E con Conte, alla fine, è inciampato.

CORRIERE.IT

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